Ai navigatori del web, attenti ai fenomeni virali e alle mode che impazzano in rete, non sarà di certo sfuggito, un video che un numero in crescita di utenti sta pubblicando, soprattutto sui social, in cui si immortalano mentre bevono un bicchiere di acqua e sale.
Girare un video mentre si beve un bicchiere di acqua salata e lanciare la ‘sfida’ ad amici e conoscenti a fare lo stesso: è questo il senso della Salt Water Challenge, il cui obiettivo è raccogliere sostegno per lo sciopero della fame intrapreso qualche settimana fa da oltre 1.500 detenuti palestinesi per ottenere condizioni di vita migliori nelle carcere israeliane.
L’iniziativa, lanciata con un video su YouTube che è stato visto oltre 8mila volte, si è diffusa poi su internet, raccogliendo un crescente numero di adesioni.
L’ideatore è Aarab Marwan Barghouti, figlio di uno dei più noti leader di al-Fatah, in carcere dal 2004 con una condanna a cinque ergastoli per aver pianificato attacchi mortali contro israeliani durante la Seconda Intifada.
“Mio padre, insieme a 1.700 prigionieri politici, ha inizio uno sciopero della fame per la libertà e la dignità, chiedendo diritti basici e migliori condizioni di vita nelle prigioni”, sottolinea nel video il giovane, spiegando che ha scelto l’acqua salata perché è l’unica cosa che i detenuti assumono per stabilizzare la salute mentre sono in sciopero della fame.
La #SaltWaterChallenge riprende l’idea della #IceBucketChallenge, la campagna virale lanciata nel luglio 2014 dalla Asl Association, l’Associazione americana contro la Sla, allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sclerosi laterale amiotrofica e di stimolare le donazioni per la ricerca. Come per l’acqua salata da bere, la persona nominata veniva ripresa mentre si versava un secchio d’acqua gelata sulla testa.
Prendendo spunto da questa iniziativa, un mese dopo, l’attore comico giordano Mohammed Darwaza aveva lanciato la Rubble Bucket Challenge in solidarietà con la Striscia di Gaza, martoriata dopo la guerra con Israele. I partecipanti si rovesciavano addosso un secchio di polvere di calcinacci per chiedere e mostrare solidarietà per la popolazione dell’enclave palestinese duramente colpita nel conflitto, a corto di acqua, ma piena di macerie.
L’iniziativa che supporta lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi viaggiando sul web, ha guadagnato notevoli adesioni: l’intero staff del Grand Park Hotel di Ramallah si è ripreso e ha postato il video su Facebook. Tantissimi i personaggi del mondo dello spettacolo che hanno già aderito alla campagna: dal comico britannico Mark Thomas, all’attore palestinese-americano Amer Zahr, politici come il membro del Comitato centrale di Fatah, Tawfiq Tirawi, insieme a persone comuni provenienti non solo dal mondo arabo, ma da vari Paesi come Usa, Irlanda, Colombia, Sudafrica.
Queste le richieste dei detenuti:
- il ripristino della seconda visita mensile da parte dei membri della famiglia;
- l’impossibilità per le autorità carcerarie di cancellare gli incontri con le famiglie per ragioni di sicurezza;
- l’estensione della visita da 45 minuti a un’ora e mezza;
- la ripresa dei corsi e degli esami di accesso all’università.
Tra le altre richieste, anche più canali televisivi disponibili in cella e l’installazione di telefoni pubblici nelle sezioni di sicurezza.
Le autorità israeliane hanno già fatto sapere che non negozieranno con i detenuti.
“Gli scioperi della fame in prigione mettono a rischio la salute e la vita dei prigionieri in custodia dello Stato, che è responsabile del loro benessere”, ha dichiarato il portavoce del Sistema penitenziario israeliano, Assaf Librati.
Sono 6.500 i palestinesi nelle carceri israeliane. A questi si aggiungono altri 500 circa sottoposti a detenzione amministrativa, una controversa misura israeliana che permette di incarcerare dei sospetti senza incriminazione né processo per un periodo massimo di sei mesi che però può essere prolungato in maniera indefinita, di sei mesi in sei mesi.
Quando è stato lanciato, il 17 aprile scorso, attivisti del partito nazionalista Israel Beitenu hanno organizzato un barbecue fuori dalla prigione di Ofer per sbeffeggiare i detenuti palestinesi in sciopero della fame con l’odore della carne alla brace.