Il nome di Roberto Romeo entrerà nella storia: un tumore lo ha reso sordo dall’orecchio destro e ha vinto, è riuscito a far valere i suoi dritto. E la sentenza emessa dal giudice del lavoro del Tribunale di Ivrea è destinata a diventare storica.
Per la prima volta al mondo un magistrato ha stabilito che esiste un «nesso di causalità» tra l’utilizzo dei telefoni cellulari e il tumore al cervello, questo significa che l’insorgenza di quel tumore è una conseguenza dell’utilizzo del cellulare.
Un’idea che spaventa e non poco l’opinione pubblica.
Roberto Romeo, 56 anni, dipendente Telecom era responsabile di un gruppo di tecnici che interveniva per riparare i guasti. Li coordinava con telefonate continue.
Quindi, per lavoro e per 15 anni è stato costretto a stare anche 4 o 5 ore con il telefonino incollato all’orecchio. A parlare, spiegare, cercare soluzioni. E l’incubo che attanaglia migliaia di persone in tutto il mondo è diventato una realtà. Problemi all’udito, cure inutili e infine la diagnosi: tumore – benigno – seguito da un intervento chirurgico e dall’asportazione del nervo acustico.
Nel 2013 Roberto fa causa all’Inail. Vuole che gli venga riconosciuta la malattia professionale.
La sentenza che ha ottenuto, dunque, è la prima che individua un nesso tra le onde elettromagnetiche e le malattie oncologiche. Una tesi che già lo Iarc nel 2011 aveva sostenuto. Ma aveva inserito i cellulari soltanto nella categoria «2/B», ovvero «potenzialmente cancerogeni.
Una sentenza che introduce una piccola rivoluzione perché, se nel mondo ci sono 5 miliardi di persone che usano i telefonini, in Italia sono oltre 45 milioni le persone che lo possiedono e la maggior parte degli utenti ne fa un uso smodato.
Il signor Romeo, oggi se ne serve soltanto con l’auricolare. Ma se potesse tornerebbe indietro e cambierebbe tutto. Perché, se è vero che ha vinto, è altrettanto vero che oggi è invalido. Al 23%. E l’Inail dovrà dargli 6 mila euro l’anno di pensione. Briciole, a confronto della salute che ha perduto.
L’utilizzo del cellulare torna ancora sotto i riflettori dei giudici. Per la terza volta in Italia. Dopo il tribunale di Ivrea pochi giorni fa, ora anche quello di Firenze ha riconosciuto il collegamento tra l’uso non corretto del telefono cellulare e l’insorgere di un neurinoma, un tumore benigno, del nervo acustico.
Il tribunale ha infatti condannato l’Inail, proprio come nel caso di Ivrea, a corrispondere una rendita da malattia professionale a un addetto alle vendite che per motivi di lavoro ha trascorso, per oltre 10 anni, 2-3 ore al giorno al telefono.
Il perito nominato dal tribunale e quello scelto dal lavoratore danneggiato hanno confermato «l’elevata probabilità di una connessione tra l’uso del telefono cellulare e la malattia insorta», anche in questo caso un neurinoma dell’ottavo nervo cranico. Bisognerà ora attendere 60 giorni per conoscere le motivazioni della sentenza.
Si tratta, in realtà, del terzo caso in Italia: nel 2010 la Corte d’Appello di Brescia condannò l’Inail a risarcire un dirigente d’azienda che per ragioni di lavoro trascorreva al cellulare diverse ore al giorno. In quel caso, il manager dovette essere operato per l’asportazione di un tumore benigno al nervo trigemino. Ma a parte le diverse patologie (nelle due sentenze più recenti un neurinoma del nervo acustico, nel 2010 una neoplasia del nervo facciale), in tutti e i casi i giudici hanno rilevato un legame con l’utilizzo scorretto del telefonino.