Antonio: «Mo è schiattamm acap pur a lor, mo e pigliamm (colpiamo) a tutti quanti, uomini creature, femmine». Emanuele: « … mo piglio le bombe è gliele butto nelle case sull’anima di Ciro… devo andare solo in galera mo! Mo prendo le bombe è gli uccido le creature ..incomp… sull’anima di Ciro…è inutile che piango ..non ci sta niente da fare». Emanuele: «Mo amma accirer… li dobbiamo sterminare tutta la famiglia….le bombe… devo buttare le bombe mo’! le bombe …non ….. le pistole ora!».
Questi alcuni stralci de l dialogo che avvenne tra Emanuele Esposito e il boss del clan dei Barbudos, Antonio Genidoni, dopo che il 7maggio del 2016, alle ore 13, due killer entrano in un’officina a Marano di Napoli per uccidere Giuseppe e Filippo Esposito, padre e figlio, nonché padre e fratello di Emanuele.
Antonio Genidoni, figliastro del Boss Pierino Esposito e fratellastro di Ciro detto “o Spagnuolo” – entrambi uccisi in due diversi agguati – 30enne boss del sodalizio criminale emergente nel quartiere Sanità di Napoli che si ispirava ai guerriglieri islamici e che identificava nei tatuaggi e nelle barbe folte il proprio tratto distintivo, era a Milano agli arresti domiciliari: lo avvertono di quanto è accaduto poco prima a Marano. Quel duplice omicidio è una vendetta trasversale per un altro duplice omicidio avvenuto il 22 aprile ed organizzato, secondo gli inquirenti, da Genidoni e da Emanuele Esposito, con la complicità di Addolorata Spina e Vincenza Esposito, rispettivamente madre e compagna di Genidoni.
In casa c’è una microspia piazzata dalla squadra mobile di Napoli e gli investigatori ascoltano tutto in diretta. Esposito si dispera, si prende a schiaffi, distrugge delle suppellettili, Antonio Genidoni prova a calmarlo ed entrambi meditano la vendetta per quell’agguato messo a segno dai Vastarella per replicare al fuoco esploso dai Barbudos qualche giorno prima.
Il 22 aprile, due pregiudicati uccisi e tre persone restano ferite in una sparatoria avvenuta in un circolo privato, l’associazione ‘Maria Santissima dell’Arco’ in via Fontanelle 193 al Rione Sanità. Le due vittime sono Giuseppe Vastarella, 42 anni, esponente dell’omonimo clan, e Salvatore Vigna, 41 anni.
Nella zona di Materdei e del vicino Rione Sanità, nei giorni precedenti, aveva avuto luogo la famosa “stesa”: diversi colpi esplosi in aria a scopo intimidatorio da giovani a bordo di scooter. Un segnale lanciato per inviare un messaggio preciso: questa è zona nostra.
L’obiettivo dei killer entrati in azione nel circolo ricreativo era colpire il clan Vastarella: tre delle cinque persone colpite sono infatti ritenuti esponenti del gruppo camorristico attivo nella zona. A fare irruzione nel circolo sei giovani a volto coperto, pistole e mitragliette in pugno.
Dario Vastarella, 33, e Antonio Vastarella, 25, sono gravemente feriti e ricoverati al “Cardarelli”. L’altro ferito, anche lui in gravi condizioni è Alessandro Ciotola, 22 anni. All’ospedale “Pellegrini”, dove è morto Giuseppe Vastarella, si è radunata una piccola folla di parenti e amici che ha dato in escandescenze, rendendo necessario l’intervento delle forze dell’ordine.
Dalle intercettazioni emerge che le donne del clan dei Barbudos assumono in pieno il ruolo di forza trainante nella guerra che Genidoni vuole combattere a novecento chilometri di distanza. Quella guerra, quell’odio per i Vastarella, si esprime in tutta chiarezza proprio nell’appartamento lombardo del boss.
I discorsi intercettati permettono di ricostruire la strage nel circolo “Madonna dell’Arco” e di apprendere dell’ideazione di un nuovo agguato che i Barbudos non riescono a mettere a segno, perché vengono tratti in arresto. In merito al raid alle Fontanelle, Enza, la moglie di Genidoni afferma: “Sfortunatamente non abbiamo preso il perno principale. – Antonio Vastarella – Dovete colpire al cuore e fargli provare lo stesso dolore“.
Alla base delle rivalità tra i Vastarella e gli Esposito “una cacciata” dal rione avvenuta nei mesi precedenti all’agguato. Gli Esposito erano stati espulsi dal rione Sanità e dagli affari del quartiere. Agli affiliati sono state “confiscate” le case, tagliati gli allacci alla corrente elettrica, bloccate le serrature e bruciate le porte di ingresso. Un sabotaggio pianificato.
Un agguato, quello messo a segno il 22 aprile del 2016 dai “Barbudos”, che verrà ribattezzato “strage delle Fontanelle” e che sancisce una nuova guerra di camorra che porterà ad una faida che non si combatterà solo tra le mura del Rione Sanità e che, soprattutto, delinea l’incipit di nuove trame camorristiche che porteranno i Barbudos a “mettere le radici” nel quartiere Ponticelli.
Oltre alle intercettazioni ambientali, un ruolo determinante nella ricostruzione dell’agguato nel circolo ricreativo del Rione Sanità, lo ricopre la testimonianza di un collaboratore di giustizia: Rosario De Stefano, contiguo al clan Lo Russo.
Il clan Esposito-Genidoni nasce dell’affiliazione di un gruppo di giovani legati da rapporti di parentela, diretti e indiretti, all’inizio della guerra con i Vastarella e i Lo Russo. Poi l’omicidio del ras Pietro Esposito li costrinse a fare le valige e lasciare fisicamente il rione Sanità, giurando vendetta.