Taranto, 22 aprile 1990 – un giovane incensurato rimane vittima della guerra tra bande che ha già fatto 7 morti. Ucciso per errore, per un clamoroso scambio di persona.
Il killer non conosceva la sua vittima designata, il boss di una banda rivale, e così ha sbagliato bersaglio. Ha ucciso a colpi di pistola un operaio che aveva aiutato due persone coinvolte in un incidente stradale: Angelo Carbotti, 25 anni, in attesa di un’occupazione stabile. Non aveva nessun precedente penale, niente a che vedere con la malavita.
Assassinato barbaramente una domenica mattina alle 11,30 a pochi metri dal pronto soccorso dell’ospedale civile Santissima Annunziata, dove aveva trasportato la ventenne Sara Ricciardi e suo fratello Filippo un boss del luogo, vittime di un incidente avvenuto alla periferia della città.
Dopo averli affidati alle cure dei medici, Angelo Carbotti è risalito a bordo della sua Alfasud per liberare il passaggio del pronto soccorso. In quel momento è spuntato il killer. Volto scoperto, in pugno una pistola calibro 7,65, l’assassino ha prima allontanato alcune donne che sostavano dinanzi al pronto soccorso sparando ai loro piedi due colpi. Poi si è avvicinato al giovane e ha fatto fuoco a bruciapelo: cinque proiettili hanno raggiunto Carbotti. Il giovane è morto in pochi istanti. Il primo a soccorrerlo, vanamente, è stato il sottufficiale in servizio al posto fisso di polizia dell’ospedale. Nessuna traccia dell’assassino, ma neppure di testimoni oculari.
Pur trattandosi di un omicidio avvenuto sotto gli occhi di numerose persone, la Squadra Mobile incaricata delle indagini, ha raccolto soltanto poche e molto scarne dichiarazioni. Dopo l’agguato, il killer è fuggito a piedi, mescolandosi probabilmente alla folla presente in ospedale per il funerale di Francesco Fanelli, un pregiudicato assassinato il sabato precedente. Questa versione ha trovato subito una conferma poiché la pistola e un caricatore sono stati ritrovati dagli agenti di polizia in un cestino di rifiuti proprio a pochi metri dall’obitorio.
La chiave del delitto è nella guerra cruenta in atto tra due clan rivali: il primo è capeggiato da Antonio Modeo, soprannominato «il messicano», un pericoloso latitante; l’altro è guidato dai suoi fratellastri Claudio, Gianfranco e Riccardo (questi ultimi due sono stati scovati e arrestati il tre aprile dai carabinieri in una casabunker risultata zeppa di cunicoli e passaggi segreti a Montescaglioso in provincia di Matera).
Da quasi due anni tra i Modeo è in atto un conflitto per aggiudicarsi il controllo delle attività illecite che ha causato già una quarantina di morti. Ultimo episodio, l’omicidio di Francesco Fanelli, l’uomo era giudicato assai vicino ai fratelli Gianfranco, Claudio e Riccardo Modeo. La risposta era già nell’aria. La vittima avrebbe dovuto essere proprio Filippo Ricciardi, boss notoriamente legato al clan avversario. E la sua presenza in ospedale, a una cinquantina di metri da una folla di nemici, era l’occasione d’oro da non perdere. Così il killer, abbandonato l’obitorio sgusciando tra la folla ha raggiunto il pronto soccorso. Ma poiché non conosceva personalmente Ricciardi ha sbagliato bersaglio: ha fatto fuoco contro Angelo Carbotti. Figlio di un netturbino, Carbotti è la terza vittima incolpevole della battaglia tra i clan.
Il trenta gennaio dell’88, in pieno centro cittadino, venne ucciso Giulio Capilli, 28 anni, colpito da una pallottola destinata a un pregiudicato. Il venti ottobre dell’89 anno morì un ragazzo di 14 anni, Domenico Calviello, ammazzato a Stattc, borgata «regno» del «messicano», mentre si trovava nelle vicinanze della macelleria di proprietà del padre.