Il 19 aprile del 2016 moriva ad Acciaroli, nella tanto amata terra del compianto sindaco-pescatore, Angelo Vassallo, un ragazzo di appena 33 anni. Si chiamava Emanuele Vassallo.
Vassallo: un cognome diffuso nella frazione più estesa del comune di Pollica che conta circa 1000 abitanti.
Nella terra diventata celebre come “la patria dei centenari” e della dieta mediterranea, in cui si narra di uno stile di vita da ergere ad esempio, Emanuele è morto di tumore.
Una mattanza che da oltre un decennio sta disseminando morte, con particolare insistenza tra le mura della Campania e non solo lungo la porzione tristemente nota come “terra dei fuochi”. I dati forniti dagli istituti di ricerca parlano chiaro: dal 2010, nel Parco Nazionale del Cilento, si registra una notevole ed ascendente incidenza del tasso tumorale.
Tumore è una parola che fa paura e che inevitabilmente fa a cazzotti con l’orgoglio Cilentano, quello che disdegna “le critiche” e recepisce di buon grado solo “i numeri buoni”.
Quelli legati al turismo, in primis.
La fonte di paura più grande è correlata proprio al declino al quale la principale fonte di sostentamento dell’economia locale potrebbe andare incontro, se agli occhi dei turisti venisse clamorosamente meno il falso mito del “qua si mangia bene e si vive a lungo.”
Un modello di vita “venduto” come un esempio al quale ispirarsi che occulta, però, la fetta più drammatica e veritiera della realtà, quella immortalata nel volto di Emanuele.
“Banana”, lo chiamavano tutti così, perché da ragazzino aveva i capelli lunghi e biondissimi e spesso sfoggiava uno sgargiante giubbino giallo.
Una vita trascorsa a lavorare. Lavorava sempre e tanto, Emanuele. Tutte le estati, per mettere da parte più soldi possibile per “trovare la sua strada” durante l’inverno.
Non amava i libri e la scuola, ma non è mai stato un fannullone, “banana”.
Pizzaiolo, barista, cameriere, Emanuele non diceva mai “no” quando si trattava di lavorare. Sempre sorridente e con la battuta pronta, “banana” sperava e sognava di trovare una sistemazione, ambizione condivisa da tanti suoi coetanei. Tant’è vero che qualche anno fa, tentò il tutto per tutto giocandosi la sua grande occasione, partendo per l’Australia, alla fine dell’ennesima estate trascorsa a lavorare nel bar della piazzetta di Acciaroli.
Lì iniziò il calvario di Emanuele che si vide costretto a ritornare in Cilento pochi mesi dopo per iniziare quella estenuante battaglia contro quel male che, alla fine, gli ha divorato la vita.
Ha viaggiato ancora, Emanuele, ma da un ospedale all’altro, patendo sofferenze atroci. Senza trovare una cura efficace, in grado di annientare quel male.
Com’è possibile morire di tumore nella stessa terra dei centenari cilentani?
In alcune aree del Parco Nazionale del Cilento, l’incidenza dei tumori risulta addirittura doppia rispetto ad aree metropolitane certamente più industrializzate e maggiormente esposte a fattori inquinanti del salernitano.
In sostanza, ci si ammala e si muore di tumore più a Vallo della Lucania e Sapri che non a Battipaglia ed Eboli. I dati citati sono pregressi alla morte di Emanuele, in quanto relativi ad uno studio condotto nel 2014, condotto da 168 medici distribuiti in settanta comuni salernitani da Battipaglia a Sapri, e che avevano in carico 200mila assistiti, hanno messo a disposizione i propri archivi, fornendo il numero dei pazienti che si ammalano e che muoiono di tumore.
Lo studio sottolinea che i distretti sanitari maggiormente a rischio sono quello di Vallo della Lucania e Sapri. Quindi nel cuore del Parco e lungo la fascia costiera. I dati sono stati rilevati su un campione significativo di assistiti (circa il 50% dell’intera popolazione residente) aggregati per Distretto sanitario. Le informazioni raccolte arrivano degli archivi dei medici di base, e sono certamente più complete dei dati ospedalieri, comprendendo anche la lunga lista di cittadini che vanno a curarsi fuori provincia e fuori regione, proprio come fece Emanuele.
Emanuele Vassallo è quindi diventato un dato, finito nel registro tumori della Provincia di Salerno, istituito nel 1996, insieme a molti, molti altri nomi di persone nate e prematuramente morte in Cilento. Per chi gli ha voluto bene, invece, continuerà ad essere “banana”.