Sopravvivenza globale quasi raddoppiata, una percentuale più elevata di completa remissione della patologia. E meno effetti collaterali rispetto alla chemioterapia. In Italia è adesso in regime di rimborsabilità il blinatumomab, nuova molecola rappresenta una strategia terapeutica rivoluzionaria per il trattamento dei pazienti affetti da Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA), una delle forme più rare di leucemia, per la quale fino a oggi le opzioni terapeutiche sono state molto limitate. E che invece rappresenta una concreta speranza per il trattamento dei pazienti, che tra l’altro possono curarsi per la maggior parte del tempo anche a casa (farmaco a infusione con ciclo da 28 giorni), con meno spazio per i ricoveri ospedalieri. Così in Italia, dove la LLA provoca 300 casi annuali (in linea con i numeri di Europa e Stati Uniti) e così in Campania. “Si tratta di un anticorpo monoclonale bi-specifico con un meccanismo d’azione davvero rivoluzionario e con grandi, grandissimi risultati perché consente al sistema immunitario di riconoscere il nemico e di combatterlo – spiega Fabrizio Pane, U.O. Ematologia e Trapianto di Midollo, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli e presidente della Società Italia di Ematologia, SIE -, ovviamente lo stiamo utilizzando anche nei trial clinici presso i nostri centri e posso confermare quanto è riportato dalle statistiche, abbiamo un’arma in più nel trattamento della leucemia linfoblastica acuta”.
Del nuovo anticorpo monoclonale e in generale di tutto ciò che riguarda la leucemia linfoblastica acuta si è discusso recentemente a Roma, dove è stato presentato uno studio (chiamato Tower), il primo trial clinico condotto su un’immunoterapia, finito anche sulla pagine della prestigiosa rivista di medicina New England Journal of Medicine, che ha mostrato un beneficio in termini di sopravvivenza globale dei pazienti quasi raddoppiata: da 4 mesi con la terapia standard ai 7,7 mesi con blinatumomab. “E va tenuto conto – aggiunge il professor Pane – che l’anticorpo è utilizzato nei pazienti già pesantemente trattati con chemioterapia, quindi con fisico già debilitato. Un altro grande passo in avanti potrebbe esserne l’uso subito dopo la prima fase di chemio, quando il paziente è in remissione di malattia, credo che le percentuali di sopravvivenza potrebbero essere riviste verso l’alto”.