La voce straziata dal dolore, il viso segnato dalle lacrime, la foto di suo figlio stretta al petto, quel figlio sottratto alla vita nel più brutale dei modi: Lucia, la madre di Emanuele Morganti, il giovane ucciso una settimana fa ad Alatri, brutalmente pestato da circa 20 persone, è la personificazione della sofferenza. Ancora fatica ad accettare quella realtà, eppure, nel giorno in cui si è vista costretta a compiere il più innaturale degli atti, quello che porta una madre a piangere la morte del figlio, ha dato una lezione di civiltà all’Italia intera.
“Voglio fare io un applauso a voi per tutto quello che avete fatto in questi giorni, per le vostre preghiere, il vostro sostegno. Io vi ringrazio per ogni lacrima. Le mie non sarebbero bastate“. Poco prima che la bara bianca di Emanuele uscisse dalla chiesa Maria SS. Regina di Tecchiena Castello, frazione di Alatri, la mamma del ventenne massacrato nel centro storico del Comune ciociaro, ha preso la parola per chiedere preghiere per Emanuele e per invitare le diecimila persone che hanno affollato il sagrato e anche il prato vicino alla chiesa, a ricordare il suo “caciarone” pieno di vita.
Non parla degli assassini, mamma Lucia. È la sorella di Emanuele Morganti, Melissa a farlo: “Ciò che hai lasciato in noi – dice- non potrà essere cancellato neppure dal più vile degli assassini, come quelli che ti hanno portato via”.
Non c’è spazio per l’odio, per la vendetta e per il linguaggio dell’odio, nei cuori e nei discorsi della famiglia Morganti.
Emanuele è morto da innocente, ricorda l’intera comunità, nell’invocare giustizia.
Giustizia, non vendetta.
La differenza di contenuto è notevole, al cospetto di una morte tanto atroce che ha destato forte commozione ed indignazione nell’opinione pubblica.
Una morte che consegna una consapevolezza che, seppure affranta dal dolore, mamma Lucia non ha perso di vista: i giovani vanno educati e rieducati alla non violenza per scongiurare il pericolo che il cuore di un’altra madre venga trapassato da quella ferita che difficilmente saprà rimarginarsi.
Compostezza e umanità, amore e civiltà, grondano dalle parole di mamma Lucia che, proprio come fece Antonella Leardi, all’indomani del ferimento, rivelatosi poi mortale, di suo figlio Ciro Esposito, invitò i giovani a non replicare a quella violenza con la violenza.
Il sangue non si lava con il sangue.
E il fatto che a rimarcare il concetto siano le madri che hanno perso figli, maciullati da una violenza inumana, riveste un’importanza assai notevole per allontanare i giovani da gesta, linguaggi ed ideologie che inneggiano all’odio e a sentimenti altamente deleteri.
Non sempre, tuttavia, le madri di vittime innocenti, della criminalità piuttosto che della “violenza ordinaria”, dispongono della lucidità e del buon senso necessario per discernere il dolore dall’istigazione all’odio, alla violenza e perfino alla delinquenza.
Ed è così che messaggi pregni di odio e di desiderio di vendetta, disseminati senza mezzi termini, attraverso i social, in un contesto assai difficile come quello napoletano.
“Ho visto il fatto di quel ragazzo di 20 ucciso per una strozzata del genere – si legge in un post pubblicato dalla madre di una recente vittima innocente della criminalità, in riferimento proprio alla vicenda di Emanuele Morganti – Io mi chiedo come si può uccidere un ragazzo così è possibile che noi mamme dobbiamo temere per i nostri figli. Per colpa di certi pezzi di merda. Immagino ciò che sente quella mamma perché è quello che sto provando io. Chi sono loro che si sono presi le vite dei nostri figli così. Questo dobbiamo ringraziare la giustizia che abbiamo in Italia ci vorrebbe la pena di morte per certi infami. A morte anche loro. Scusate è uno sfogo da mamma che comprende un’altra mamma per ciò che sta passando. Ciao Emanuele r.i.p.”
Il disprezzo della giustizia e delle leggi dello Stato, il desiderio di vendetta che porta a desiderare la morte degli aguzzini, definiti “infami”, nel rispetto del gergo malavitoso: così ragionano i cultori del credo della camorra e fa specie che ad esibire questa condotta sia il familiare di una vittima innocente, paradossalmente impegnata in una “battaglia di legalità” insieme alle associazioni operanti sul territorio, incapaci, a loro volta, di redarguire quella condotta che rischia di diventare una tanica di benzina cosparsa sull’indole di per sé violenta e facinorosa di quegli animi che vivono nei territori in cui già si spara per far valere le proprie ragioni.
Una madre “agli antipodi” che pratica una politica dell’odio assai pericolosa e deleteria per il ripristino di una società civile e da rieducare al culto della NON violenza: “scusate io vorrei dire a quelle persone che parlano di perdono dare possibilità a chi a sbagliato, – si legge in un altro post pubblicato dalla stessa madre di una vittima innocente della criminalità – ok io posso essere d’accordo per chi ruba perché forse nn arriva a fine mese e a dei figli una famiglia da mantenere. Ma cavolo io nn perdono chi mi a strappato mio figlio aveva 19 anni e nn lo più per colpa di qualche bastardo che a deciso della sua vita. Ok, allora finiamola con questo buonismo del cavolo sono degli infami e devono pagare e soffrire peggio di noi. Scusate del mio sfogo ma è ciò che penso per me nessun perdono.”
Quello che questa donna definisce “buonismo”, in realtà, è l’atto di civiltà dal quale questa società deve ripartire per evitare di finire allo sbando, ridotta ad un paese in cui regna il terrorismo derivante dal principio “occhio per occhio, dente per dente” che pericolosamente rischia di assorbire le vite dei nostri ragazzi. Sono loro il futuro dell’umanità ed è a loro che vanno rivolti tutti gli sforzi possibili per far sì che “mai più” e non “ancora” sia il monito che scelgano di sposare.
L’Italia faccia tesoro dell’esempio e del messaggio delle madri come Lucia, affinché le morti dei loro figli non vengano vanificate e per far sì che la giustizia faccia il suo doveroso corso.
Certe madri, invece, andrebbero dissuase dal praticare atti di istigazione all’odio e alla violenza.
Il linguaggio dell’odio va sempre condannato e non contempla giustificazioni o eccezioni, in terre come Ponticelli, il Rione Sanità e altri scenari della Napoli dilaniata dalla violenza dei “baby-boss”, più che mai.