Una nuova figura femminile si colloca al centro di un’inchiesta di camorra: Vincenza Carrese, 25 anni, pregiudicata, compagna di Pasquale Sibillo, il baby boss della “paranza dei bimbi”.
La giovane è stata fermata dai carabinieri in via Grande Archivio, nella zona dei Decumani, nel cuore del centro storico napoletano, mentre era alla guida di una Smart, in compagnia di una 18enne, Alessia Napolitano, originaria dei Quartieri Spagnoli. I carabinieri hanno ritrovato due involucri di cellophane contenenti circa 210 grammi di marijuana tra le falde del vestito della 18enne. Quando i militari le hanno bloccate, la ragazza ha inutilmente tentato di liberarsi dei fagotti nascondendoli dietro uno scooter parcheggiato vicino la loro auto. Le due sono ai domiciliari in attesa del rito direttissimo per detenzione e spaccio di stupefacenti.
Un arresto che colloca a un bivio le ipotesi investigative correlate alle sorti del clan Sibillo, in seguito al declino dei fratelli Emanuele e Pasquale, reggenti dell’omonimo clan, nonché figure-simbolo del sodalizio camorristico che fu anche denominato “la paranza dei bimbi”, precursore dei fenomeno dei baby-boss, in virtù della giovane età dei capi e dei gregari affiliati al suddetto clan.
La Carrese, compagna di Pasquale Sibillo, attualmente detenuto in carcere in seguito all’arresto maturato a Terni nel novembre del 2015, al culmine di un breve periodo di latitanza, è un semplice corriere della droga o una lady-camorra che – come già accaduto in molti altri clan del napoletano – in seguito alla cattura del compagno, ha ereditato le redini del clan ed è, di fatto, la donna-boss del clan Sibillo?
L’aspetto che emerge con palpabile certezza, a prescindere dal ruolo ricoperto dalla donna, è il desiderio di esistere e resistere, portando avanti l’attività di spaccio ad opera del clan Sibillo, nonostante il sodalizio sia stato indebolito dalla faida con i Mazzarella e dagli arresti di molti uomini affiliati all’organizzazione criminale.
Nella primavera-estate del 2015, il clan Sibillo fece irruzione con prepotenza sulla scena criminale del centro storico partenopeo, riuscendo ad affermare la propria egemonia temporanea su più fronti: al centro della contesa non solo le piazze di spaccio, ma anche il controllo del pizzo agli ambulanti del mercato della Maddalena. Un luogo storicamente detenuto dai Mazzarella quest’ultimo e che, di recente, hanno dimostrato quanto intendono vendere cara la pelle, pur di non cedere il posto ad altri, tra le strade della Duchesca che accolgono il rinomato mercato, quando, lo scorso gennaio, hanno messo a segno il raid contro gli ambulanti extracomunitari che si erano rifiutati di pagare il pizzo, nel quale, rimase ferita anche una bambina di 10 anni.
I Sibillo, come i Corallo, il clan delle “Case Nuove”, sognano di mettere le mani sul mercato della Maddalena e così i due clan si alleano.
Emanuele Sibillo, il primo, vero baby-boss della storia della “nuova camorra” impone il suo clan come una palpabile e temibile alternativa alla quale “i vecchi capi” devono iniziare a guardare con timore: un desiderio di grandezza che dura poco.
La sera del 2 luglio 2015, proprio per incutere timore ai rivali del clan Buonerba – alleati dei Mazzarella – e palesare ai suoi gregari la sua solida posizione di leader, nonostante la latitanza, Emanuele Sibillo, un giovane di appena 20 anni, lascia il bunker del Rione Conocal di Ponticelli in cui si nascondeva, per recarsi in via Oronzio Costa, quartier generale dei Buonerba per mettere a segno una “stesa”, ovvero, l’esplosione di plurimi colpi d’arma da fuoco verso il cielo o abitazioni, con l’intento incutere timore ai rivali e rivendicare la propria egemonia.
Morire a 20 anni per una stesa: nelle terre di camorra anche questo diventa lecito. Emanuele sapeva di andare incontro alla morte, ma, al pari di un kamikaze dell’Isis, ha scelto di servire il suo credo anche a costo della vita.
Un guerrigliero islamico nella testa, nelle intenzioni e nelle fattezze, come rimarca la barba folta e scura.
La morte di Emanuele ha innalzato i toni della disputa.
Pasquale Sibillo, fratello di Emanuele, viene sottratto alla morte dai carabinieri che lo traggono in arresto, in seguito a diversi mesi di latitanza, a Terni.
Una cattura che ha dato il via ad un valzer di arresti che ha notevolmente ridimensionato la compagine originaria del clan Sibillo, quella al cui vertice, per intenderci, c’era Emanuele.
Un intreccio di alleanze e nuove reclute, seguitano a tenere in vita il clan che potrebbe aver puntato tutto sulle donne, nel rigoroso rispetto della “moda del momento” che sembra strizzare l’occhio alla camorra al femminile.
A vederli così, come vengano ritratti in questa foto, sembrano un gruppo di ragazzi come tanti che evadono dalla routine quotidiana concedendosi qualche schiamazzo in discoteca. Invece, i Sibillo, anche e soprattutto sotto quest’aspetto, erano “ragazzi diversi”: anche lungo le piste da ballo disseminavano terrore. Dall’uccisione di un giovane che ha pagato con la vita “lo sfregio” di aver negato una sigaretta a un gregario del clan, ai tavoli dai conti astronomici, perché l’ostentazione del lusso e dello sfarzo permettesse a tutti di provare invidia per “i benefit” che derivavano dall’affiliazione al clan della “paranza dei bimbi”.
Sembrano ragazzi e ragazze come tanti, ma, in realtà, sono la testimonianza vivente della “diversità” che regna nei servi della camorra.