Le baby gang si confermano un fenomeno in ascesa, capace di esibire caratteristiche ideologiche e comportamentali che si diversificano e le diversificano, di generazione in generazione, di regione in regione e perfino da quartiere a quartiere.
Il minimo comune denominatore che rappresenta il punto di analogia più temibile e forte è sempre e solo uno: la violenza.
Sfrontata, scriteriata, feroce, illogica, irreprensibile, incontenibile, capace di ridurre in fin di vita giovani vite, per futili motivi “d’onore” o per racimolare della facile refurtiva.
Il branco contro il debole, la furia dei bulli come cassa di risonanza di un sentimento di malessere represso o inconfessato, che rende lo scenario ancora più crudo e cruento.
“L’aspetto povertà ha purtroppo accentuato una serie di disagi dei nostri minori, soprattutto nell’ambito della microcriminalità. Le baby gang, purtroppo, sono in fortissimo aumento”. Lo afferma il Garante per l’Infanzia e l’adolescenza della Regione Campania, Cesare Romano.
Secondo i dati del report delle attività del Garante per l’infanzia e l’Adolescenza della Regione Campania, che fotografano in generale la situazione della delinquenza minorile. 47 i procedimenti a carico di minori per reati legati ad associazione camorristica, 13 per associazione finalizzata al traffico di droga. E ancora: sono 18 gli omicidi commessi da minori, 14 i tentati omicidi, spesso aggravato dalla circostanza di futili motivi. È la nuova povertà, secondo il report, a essere ‘responsabile’ dell’aumento della microcriminalità.
“I minori denunciati dalle Procure in Campania, per i reati commessi negli ultimi anni, sono 3272, con un’incidenza sul totale nazionale dell’8% – viene evidenziato – di questi il 60% provengono dall’area napoletana. Il 55% del totale è rappresentato da ragazzi tra i 16 e i 17 anni, e solo l’8% è straniero”.
La povertà, dunque, diventa alibi e movente delle gesta criminali dei giovanissimi.
Un’associazione di fatti e persone tutt’altro che dettata dai luoghi comuni, soprattutto in un’era in cui l’apparire è di gran lunga più importante dell’essere e apparire, in qualche modo, determina la vera e più apprezzabile ideologia dell’essere. Quella farcita di sfarzo, lusso, abiti griffati, auto e moto autorevoli, la bella vita, a base di cene succulente e serate in voga tra i locali più in della movida. Un tenore di vita che impone una disponibilità economica continua, congrua e consistente.
Il desiderio di emulare tronisti e calciatori, di per sé, non basta a spiegare la dilagante ascesa di un fenomeno che, in alcune zone nevralgiche del napoletano, tocca picchi esponenziali.
Il bisogno di rivendicare, anche con estrema e rabbiosa violenza, il desiderio di esistere e di affermare una connotazione sociale meritevole di attenzione e finanche di rispetto/timore, sana i conti con quella vita, con quel destino che li condanna a partire con una marcia in meno rispetto a un coetaneo cresciuto in un contesto agiato o semplicemente diverso.
La diversità, oltre alla povertà, rappresenta la chiave di tutto: il desiderio di vendetta che deriva dalla presa di coscienza di non essere tutti uguali al mondo, diventa elemento di sovversione ed alterazione di quella scala sociale dove un branco di “ultimi” deve azzannare “un primo” per rendere più giusto il mondo, proprio come recita in una scena di “Gomorra La Serie 2” uno dei personaggi più realistici dell’intera saga: o’ Track.
Scippare con le cattive maniere dalla vita degli altri quello che non si possiede, riversare violenza ed odio su bersagli incolpevoli, incutere timore e sfogare, alla prima occasione utile o anche pretestuosa, quel groviglio pericolosissimo di frustrazioni e pulsioni di vario genere, diventa un modello comportamentale al quale ispirarsi per sentirsi meno “ultimo tra gli ultimi”.
L’esaltazione e la visione di una realtà distorta alla quale concorre l’uso di sostanze stupefacenti, sempre più a portata di bambino e che concorrono a “fare gruppo” diventa un altro elemento rafforzativo che giunge a determinare questo stato di cose. Raggrupparsi in cerchio per fumare uno spinello da passarsi di mano in mano è un rituale fortemente consolidato nella forma mentis di tanti giovani. Sballarsi, ubriacarsi, eccedere per evadere da quella realtà informe e insapore, diventa una condotta recepita di buon grado, ma anche la benzina che galvanizza quella pulsione violenta. Risse, accoltellamenti e conseguenze ben più gravi, per uno spinone o uno sguardo sbagliato, una sigaretta negata o un orologio troppo vistoso sono il risultato finale di un mix di cause e concause che raccontano santo sia dilagante ed esteso il fenomeno.
E poi c’è la famiglia: il modello genitoriale è determinante e in molti casi, la cronaca insegna che concorre ad imporre un esempio delinquenziale che rende legittima la criminalità e giustifica e copre l’assenteismo scolastico, laddove la scuola rappresenta l’unica ancora di salvezza per imprimere un cambiamento positivo in quelle giovani ed ancora malleabili vite.