Un’altra “Scianel” della camorra è finita in manette.
La giovane 28enne Rita Pepe, dopo l’arresto del suo uomo, il boss del Pasquale Pesce, reggente dell’omonimo clan, ha assunto il comando del cartello criminale, ragion per cui è finita a sua volta in manette in un maxi blitz della Squadra Mobile nel quartiere Pianura a Napoli, dove da anni impazza la faida tra i clan rivali Marfella-Pesce e Mele.
La donna aveva imparato a gestire gli affari e a portare gli ordini agli affiliati per conto del suo uomo. In un’occasione, è emerso dalle indagini, prese a schiaffi un affiliato che non l’aveva riconosciuta: la sua autorità non poteva essere messa in discussione.
La figura camorristica e il ruolo ricoperto da Rita Pepe, divenuta vicario del compagno, emerge nell’ambito delle indagini che hanno portato a 27 provvedimenti cautelari notificati, 7 dei quali a persone che erano libere di delinquere. La polizia ha anche notificato un provvedimento di presentazione alla polizia giudiziaria, alla seconda donna del clan, ritenuta vicina ai Mele, giovanissima: Simona Luongo, 24 anni il prossimo aprile.
Grazie alle due donne, i capi, malgrado fossero in carcere, continuavano a impartire gli ordini ai loro affiliati. Il flusso di denaro più consistente arrivava dalle piazze di spaccio del quartiere: i pusher, inoltre, dovevano pagare una somma mensile per poter spacciare. L’attività investigativa ha anche messo in evidenza l’enorme quantità di armi che i clan avevano a disposizione, usate nello scontro armato sfociato, tra l’altro, anche nell’omicidio di Luigi Aversano, avvenuto il 7 agosto del 2013, ucciso a Pianura dai Marfella-Pesce.
In un altro conflitto a fuoco, invece, rimase coinvolto Fabio Orefice, 32 anni, – anche lui oggi destinatario di una misura cautelare – ferito dalla raffica di proiettili esplosi dai vertici del clan rivale, Salvatore Marfella e Pasquale Pesce. Dopo essere stato ferito, in un agguato, nell’ottobre del 2014, Orefice sfidò gli avversari su Facebook, postando foto delle sue ferite, di armi e messaggi del tipo “il leone è ferito ma non è morto”. Prese il via un “botta e risposta”, durato quasi quasi tre mesi, concluso con l’arresto di Orefice, a fine gennaio 2015.
Gli investigatori della Mobile del dirigente Fausto Lamparelli, coordinati dalla Dda, hanno ricostruito la lunga sequela di episodi criminali, anche nei confronti di familiari degli affiliati, che hanno caratterizzato la faida: omicidi compiuti e tentati, auto incendiate, attentati, esplosioni, bombe disinnescate, tra il 29 giugno 2013 al 13 dicembre 2016. La Polizia ha fatto luce anche su altri tre omicidi: quello di Luigi Mele, affiliato all’omonimo clan, colpito a morte il 29 agosto 2014; Giuseppe Perna, fedelissimo dei Marfella-Pesce, ucciso il 5 marzo del 2016 e Raffaele Pisa, assassinato il 13 dicembre del 2016.
Al clan Marfella-Pesce, infine, la Polizia ha anche sequestrato circa 10mila euro.