Domenico Buscetta, 45 anni, nipote del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, è stato assassinato in un agguato dopo le 19 del 6 marzo 1995.
Due killer gli hanno sparato con una calibro 38 alla testa.
La mafia invia un messaggio inequivocabile: non ha dimenticato, dopo anni di silenzio si è ricordata che ci sono ancora in giro parenti di quell’ “infame” che ha aperto il primo squarcio nell’ impenetrabile organizzazione, provocando il pentimento di altri capi e picciotti.
Domenico Buscetta è stato ucciso mentre usciva da un bar. I sicari lo attendevano a bordo di un’auto sulla quale sono poi fuggiti. Il nipote dell’ex boss dei due mondi è stato ucciso a pochi metri di distanza da dove, dieci anni fa, venne assassinato in un agguato il capitano dei carabinieri Mario D’Aleo e altri due militari.
La vittima, che non aveva precedenti penali, era figlio di Vincenzo Buscetta, fratello di Tommaso, ucciso con il figlio Benedetto all’ interno della sua fabbrica di specchi in viale Delle Alpi, a Palermo, il 29 dicembre dell’82. La mattanza contro il pentito, però, era cominciata già l’anno precedente, nell’ 81, quando un commando di sicari venne inviato a Torino per assassinare Mariano Cavallaro, fratello della prima moglie di Tommaso Buscetta.
Un anno dopo, l’11 settembre dell’82, scomparvero i due figli di Tommaso Buscetta, Benedetto e Antonio, 34 e 32 anni, nati dal matrimonio con Domenica Cavallaro. Erano usciti da casa sulla loro Volvo appena acquistata e di loro non si seppe più nulla. Non venne trovata nemmeno la macchina. I due figli di Buscetta erano “entrati” nelle indagini antimafia perché avevano ricevuto 54 banconote da centomila lire provenienti dal sequestro di Armellino. I soldi li avevano avuti da Pippo Calò, che però non aveva detto ai due che si trattava di banconote segnate, provenienti da un sequestro di persona. La vendetta trasversale riprese poi il 26 dicembre dell’82, quando furono uccisi il genero di Buscetta, Giuseppe Genova e due suoi nipoti, Orazio e Antonio D’ Amico, di 20 e 22 anni. Il triplice delitto avvenne a Palermo, vicino la statua della Libertà, dove Genova gestiva una pizzeria. Alla cassa era seduta sua moglie, Felicia, figlia di don Masino, che venne risparmiata dai sicari che probabilmente non la conoscevano. Tre giorni più tardi furono uccisi Vincenzo Buscetta e suo figlio Benedetto, fratello e nipote di don Masino. I due Buscetta furono colpiti nel loro laboratorio artigianale di vetreria in viale Delle Alpi, dove continuavano la tradizione di famiglia: vetrai come il padre e il nonno, un’attività alla quale anche Tommaso Buscetta era stato avviato da ragazzo e che aveva cercato di trasferire durante un periodo trascorso da emigrato a Buenos Aires.
Quasi contemporaneamente all’ uccisione del fratello e del nipote a Palermo, in Florida furono assassinati Giuseppe Tramontana che era stato testimone di nozze di Buscetta ed un amico del pentito, Tommaso Romano. Infine, il 7 dicembre del 1984 la vendetta trasversale colpì a Bagheria Pietro Buscetta, marito della sorella del pentito, Serafina, che sfuggì per caso ai killer. Da allora sembrava che Cosa nostra avesse dimenticato, che avesse deciso di interrompere le vendette trasversali, di non fare più rumore nella speranza che la pressione dello Stato si allentasse. Invece, la giustizia ha colpito duramente. Su capi e gregari di Cosa nostra sono piovute pesanti condanne, Riina ha già tre ergastoli sulle spalle, la repressione si è fatta più dura ed il 41 bis, il regime del carcere duro, è stato prorogato.
Cosa nostra ha così deciso di riprendere le ostilità e in meno di un mese sono già sette i morti ammazzati a Palermo. La prima vittima, Giusto Giammona, 23 anni, assassinato a Corleone il 28 gennaio; un mese dopo, stessa sorte per la sorella, Giovanna e per il marito Francesco Saporito. Poi la lupara e le 38 colpirono il figlio del boss Gaetano Grado e nipote di Totuccio Contorno, Marco Grado, assassinato con un amico. Il 26 febbraio venne giustiziato Francesco Brugnano, indicato come confidente del maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo, morto suicida sabato. Ieri la vendetta di Cosa nostra ha colpito il nipote di Tommasino. La mattanza continua.
Ed è allarmato Roberto Scarpinato, sostituto procuratore a Palermo e pubblico ministero del processo a Giulio Andreotti: “Bisogna fermare questa macchina di morte che si è messa in moto con un’impressionante violenza. Bisogna capire con certezza qual è, al di là dei suoi obiettivi parziali, il bersaglio finale. Potrebbero prepararsi eventi molto gravi”.