Il 5 marzo del 2000 Ferdinando Liguori, ventidue anni, giovane operaio di Casavatore viene raggiunto da un colpo di pistola che gli trancia l’arteria femorale all’esterno della discoteca MyToy di Giugliano in Campania, al culmine di una lite nata nel locale per un’occhiata di troppo ad una ragazza.
Interviene la security che allontana i giovani quando all’improvviso la macchina occupata da 4 amici, tra cui il Liguori, viene affiancata da una Smart. Uno dei due occupanti spara colpendo la fiancata sinistra della macchina, uno dei proiettili colpisce alla coscia la vittima, seduta sul sedile posteriore.
Proprio poche ore prima del fatto il locale era stato controllato e sembrava tutto tranquillo. Il questore di Napoli dell’epoca, Antonio Manganelli, all’indomani di quel sanguinario episodio, indice un giro di vite nei controlli sulle discoteche e sui locali notturni della provincia.
La questura attuerà verifiche a tappeto per verificare se esistano elementi per disporre la chiusura dei locali considerati ritrovo di pregiudicati o di quelli in cui si ripetono frequentemente episodi da cui poi derivano atti di violenza, come appunto il “My Toy”.
La discoteca in questione non è nuova ad episodi di violenza. Nel 1993, uno dei proprietari, Domenico Distratto, era stato ferito al volto da un colpo di pistola mentre cercava di sedare una rissa. E ancora una lite scoppiata all’interno del “My Toy” il 9 ottobre dello stesso anno, secondo la polizia, fu la molla che portò all’omicidio il giorno dopo, in piazza Mercato a Napoli, di un pescivendolo incensurato, Salvatore Acciarino. A gennaio fu poi il figlio del boss di camorra Luigi Giuliano, a sfuggire a un agguato dopo essere uscito dalla medesima discoteca di Giugliano.
Il ragazzo assassinato aveva avuto una discussione proprio poco prima della chiusura: qualcuno aveva alzato la voce, era volato qualche pugno. Ma tutto sembrava finito così. Invece Ferdinando Liguori è stato ucciso poco prima dell’alba, da uno dei due uomini con i quali aveva avuto il diverbio.
C’è stato un inseguimento di macchine quando ormai erano le cinque di mattina: la Fiat Punto dove viaggiava la vittima insieme ai tre amici non è stata persa d’occhio dalla Smart degli aggressori. A qualche chilometro dal locale, sulla circumvallazione esterna di Napoli, la Smart ha affiancato la Punto e sono partiti più colpi di pistola. I proiettili hanno ferito solo Liguori. Subito, l’auto degli aggressori si è allontanata.
Il ferito – che non ha nessun precedente con la giustizia – è stato all’istante portato in ospedale dagli amici, ma è morto un’ora dopo il ricovero.
Secondo la polizia la lite è scoppiata nei pressi del bar della discoteca, poco prima dell’orario di chiusura, probabilmente per un apprezzamento pesante rivolto a una ragazza: dalle parole i contendenti sono passati allo scontro fisico, che ha coinvolto una decina di giovani. Sono quindi intervenuti gli addetti alla security del locale, che li hanno accompagnati fuori. Ma la disputa non era ancora finita. I due gruppi hanno ripreso a litigare all’interno del parcheggio. Gli addetti alla sicurezza, accortisi dell’accaduto, sono arrivati di corsa separandoli ancora, invitandoli a risalire sulla loro auto e ad andare via. A questo punto sarebbe scattata la vendetta di uno dei due gruppi. La Fiat Punto con a bordo Ferdinando Liguori, che si trovava in compagnia di altre quattro persone – due dei quali pregiudicati, uno per droga ed uno per rapina – ha imboccato la circumvallazione esterna di Napoli, in direzione Casoria. Qualche centinaio di metri più avanti – erano circa le cinque – è stata affiancata da una Smart con a bordo due giovani che hanno esploso alcuni colpi di pistola, due dei quali hanno raggiunto Liguori all’addome ed alla gamba. Il 22enne ha riportato lesioni all’arteria femorale, con conseguente grave emorragia, ed è morto poco dopo un’ora, nell’ospedale San Giovanni Bosco, mentre i medici tentavano di salvarlo sottoponendo ad un delicato intervento. Al momento in cui è scoppiata la rissa all’interno della discoteca c’erano circa 1300 persone che si apprestavano ad andare via. Gli agenti del commissariato di Giugliano hanno ascoltato gli addetti alla sicurezza ed alcune persone che avevano assistito alla lite, nel tentativo di individuare i giovani che hanno partecipato alla rissa. Secondo le prime indiscrezioni, le indagini per identificare gli assassini erano incentrate sul quartiere Secondigliano, alla periferia di Napoli.
La violenza giovanile si inquadra in un contesto in cui il ricorso alle “cattive maniere” è pane quotidiano per i gruppi camorristici, per i delinquenti comuni che cercano di inserirsi nella gestione di attività illegali o legali lucrose e mette a repentaglio la vita degli altri cittadini. La violenza e l’illegalità sono considerati “normali” mezzi di regolazione delle lotte concorrenziali tra clan rivali e sono cultura condivisa di una parte consistente della popolazione, a cominciare da quella giovanile.
«Accuso gli amici di Ferdinando, lo hanno tradito»: rabbia, dolore e stupore nelle parole di Giuseppina Gallo, la madre di Ferdinando Liguori.
«Mio figlio è stato ucciso a sangue freddo, tutti sanno chi è stato, ma l’assassino è libero di andarsene in giro tranquillamente. È una vergogna, è uno schifo. In questo paese non esiste giustizia, la legge non è uguale per tutti. Qui conta solo la legge del più forte». «Mio figlio era un bravo ragazzo – racconta – non meritava di fare quella fine. Non è giusto che chi l’ha ucciso a sangue freddo sia libero di andarsene in giro. È come se l’avessero ucciso di nuovo. Credevo che esistesse una giustizia e che questa valesse anche per i figli e i nipoti dei boss, ma non è così». Poi se la prende con i ragazzi che erano con suo figlio e che «hanno ritrattato le dichiarazioni rese in Questura». «Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Non so perché abbiano deciso di tacere, probabilmente per paura delle conseguenze – dice Giuseppina Gallo – Però, così facendo, hanno permesso che l’assassino di mio figlio la facesse franca. Dicevano di essere amici di Ferdinando, ma se lo fossero stati veramente avrebbero fatto di tutto per far finire dietro le sbarre per tutta la vita l’assassino. Mi auguro di non incontrarli mai più». Al dolore si aggiunge il disprezzo per coloro che avrebbero «tradito» la memoria del figlio. «Sono privi di coscienza, Ferdinando è stato ucciso dinanzi ai loro occhi, senza un perché, e loro hanno aiutato l’assassino ad essere assolto. Ringrazio solo il pm Beatrice, che ci è stato vicino e si è battuto per darci giustizia».
Rimane quindi senza colpevoli l’omicidio di Ferdinando. I giudici della quarta Corte di Assise (presidente Giustino Gatti) hanno assolto l’unico imputato, Pietro Licciardi, figlio poco più che ventenne di Gennaro Licciardi, il capo della camorra di Secondigliano morto otto anni fa nel carcere di Voghera. Il processo è stato caratterizzato da un iter estremamente complesso, che ha spinto il rappresentante dell’accusa, il pm Filippo Beatrice, a parlare nella sua requisitoria di «contesto omertoso forte ed evidente».
Nella fase delle indagini il pm interrogò numerosi testimoni, tutti a loro volta indagati anche per la rissa: i quattro che si trovavano in auto assieme a Liguori, che riferirono di aver visto sparare il passeggero della Smart; e i cinque ragazzi che si trovavano su un’altra auto, una Mercedes, i quali dissero di aver visto, a bordo di una Smart che si era avvicinata alla loro vettura, Piero Licciardi, riconosciuto anche in fotografia, armato di pistola. I passeggeri della Mercedes riferirono inoltre al pm di aver sentito gridare dalla Smart «Non sono loro, non sono loro». Su queste basi, fu chiesta e ottenuta un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Licciardi, che nel frattempo si era reso irreperibile e verrà successivamente rinviato a giudizio. Nel fascicolo del dibattimento però è entrata solo una minima parte degli indizi raccolti durante le indagini. Dopo l’entrata in vigore della riforma del Giusto processo, infatti, il pm ha dovuto riconvocare con le nuove garanzie tutti i testi-indagati i quali, contrariamente alla prima volta, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere ad eccezione di due dei quattro ragazzi che si trovavano in auto con la vittima. La scena si è ripetuta in aula, con l’unica eccezione di una ragazza che però ha ritrattato le prime dichiarazioni e nei cui confronti si procede ora per falsa testimonianza. Al termine della requisitoria, il pubblico ministero aveva chiesto nei confronti di Licciardi la condanna a ventuno anni di reclusione, escludendo a carico dell’imputato le aggravanti del motivo abietto e della finalità mafiosa del gesto. La sentenza è stata emessa dopo una camera di consiglio durata all’incirca un’ora. Alla notizia dell’assoluzione la madre della vittima, costituitasi anche parte civile nel processo, è stata colta da malore. Dalla procura nessun commento, ma appare scontato il ricorso in appello contro l’assoluzione. Licciardi, latitante fino a prima della sentenza, non ha da questo momento più bisogno di nascondersi.
L’Antimafia chiede un nuovo processo per il rampollo del boss Licciardi assolto in primo grado per l’omicidio di Ferdinando Liguori.