Spirito ribelle e grande filosofo, Bruno fu condannato dalla Chiesa per le sue idee anticonformiste su Dio e sul mondo: morì bruciato sul rogo nella piazza di Campo de’ Fiori a Roma il 17 febbraio del 1600. Sosteneva che Dio e l’Universo sono due nomi per un’unica realtà, considerata ora come attività creatrice, ora come varietà di cose create e realizzate. Per il suo coraggio è diventato un simbolo del libero pensiero
Filippo della famiglia dei Bruni nacque a Nola nel 1548 e a 17 anni entrò nel convento di S. Domenico Maggiore a Napoli e prende il nome di Bruno Giordano. Sospettato di eresia, nel 1576 fuggì a Roma, si spogliò dell’abito domenicano e cominciò a peregrinare per molte città europee: Ginevra (dove entrò in contatto con il mondo protestante e, per un breve periodo, si fece calvinista), Tolosa e Parigi (dove pubblicò nel 1582 la commedia Candelaio). Si spostò quindi in Inghilterra: insegnò a Oxford e pubblicò a Londra i dialoghi italiani (Cena de le ceneri, De la causa principio e uno, De l’infinito universo e mondi, Spaccio de la bestia trionfante nel 1584 e De gli eroici furori nel 1585). In queste opere utilizzò uno stile e un linguaggio assai particolare, a volte rozzo e dialettale, a volte complicato, ma sempre capace di esprimere con grande potenza la sua ansia di libertà e verità.
Dopo un soggiorno a Parigi, viaggiò per la Germania e a Francoforte pubblicò i poemi latini. Accolse quindi un invito a recarsi a Venezia, dove fu denunciato come eretico dal suo ospite, che aveva sperato di essere istruito nelle arti magiche; nel 1592 fu pertanto arrestato dall’Inquisizione e processato. Trasferito successivamente all’Inquisizione di Roma, fu di nuovo processato; rifiutò di ritrattare le proprie idee e fu condannato a bruciare sul rogo, pena che affrontò con coraggio a Roma nel 1600.
Molta influenza ebbe sul pensiero di Bruno la teoria eliocentrica di Copernico (che per primo, in epoca moderna, mise il Sole al centro del sistema planetario): le tesi di Copernico furono da lui considerate come un elemento di rottura della vecchia concezione tolemaico-scolastica di un Universo chiuso con al centro la Terra. Ma, mentre Copernico si muoveva ancora in un Universo finito, Bruno affermò arditamente che l’Universo non può avere limiti. Il filosofo descrisse un Universo infinito nello spazio e nel tempo in cui Dio si espande e si manifesta: infinito quindi non è soltanto Dio, ma anche il mondo in quanto causato da Dio.
Per Bruno nell’Universo tutto è vita: esso è animato da un principio vitale intrinseco (“motore dell’universo”, “fabbro del mondo”) e si presenta come una totalità le cui varie parti si collegano le une alle altre. Esso quindi è fatto di corrispondenze e consonanze segrete che il filosofo-scienziato deve scoprire, perché, se sarà capace di capire i segreti della natura e i suoi modi di operare, potrà dominarla. È questa una concezione ancora magica del sapere di derivazione rinascimentale.
Affermata l’infinità del mondo, il rapporto tra Dio e le sue creature non poteva più essere concepito come quello tra un essere trascendente e un mondo creato. Per Bruno la realtà è unica e Dio creatore non è diverso dalle cose che crea: si tratta di considerare il principio divino come essenza creativa presente in tutte le cose e il mondo come molteplicità di possibilità realizzate da Dio, nelle quali tale essenza divina si manifesta. Come natura creatrice, cioè Dio, la realtà è una, omogenea e immutabile. Come natura creata, cioè le cose del mondo, la realtà consiste nell’infinità dei mondi (tra cui la Terra), degli oggetti e degli eventi che cambiano e si modificano e nei quali Dio dispiega le sue potenzialità infinite.
Dio nella sua attività creatrice esce da sé stesso e si esteriorizza nel mondo, moltiplicandosi in infinite esistenze attraverso un processo di discesa che lo porta a immedesimarsi nella natura. Pertanto, Dio è visibile e sperimentabile ovunque; la religione, quindi, deve insegnare a riconoscere Dio ovunque. L’anima umana, che partecipa a questo processo di sviluppo, può sperare, dopo la morte, di non dissolversi col corpo cui è strettamente connessa, ma di ritornare a Dio, da dove proviene, ed essere riassorbita in lui.