Tre italiani e un libico i destinatari del provvedimento di fermo emesso dalla Dda di Napoli per traffico internazionale di armi verso Iran e Libia aggirando l’embargo. Arrivano anche dall’Italia, dunque, le armi nelle mani dei terroristi dell’Isis, armamenti ed elicotteri destinati anche a Iran e Libia.
I fermati sono marito e moglie di San Giorgio a Creano, il comune napoletano che diede i natali a Massimo Troisi, Mario Di Leva, convertitosi all’Islam con il nome di Jaafar, e Annamaria Fontana, e manager della Società italiana elicotteri, Andrea Pardi. Il quarto destinatario del provvedimento di fermo è un libico resosi irreperibile. È indagato anche il figlio della coppia, per il quale, al pari del padre, i magistrati napoletani sospettano un processo di “radicalizzazione” in atto.
Nell’ambito dell’operazione sono state eseguite dieci perquisizioni nei confronti di altrettante persone per ipotesi di reato riconducibili al traffico internazionale di armi. La prima fase ha avuto avvio nel giugno 2011, su iniziativa del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, nell’ambito di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Napoli. Era emerso che un affiliato a un clan camorristico dell’area casalese era stato contattato da un appartenente alla cosiddetta “mala del Brenta” che cercava esperti di armi da inviare alle Seychelles per addestrare mercenari somali. Dalle indagini emersero le responsabilità di un somalo con cittadinanza italiana, parente del deposto dittatore del Puntland che hanno aperto i nuovi scenari d’inchiesta.
Ci sarebbero stati anche contatti telefonici tra la coppia di coniugi di San Giorgio a Cremano e i rapitori di quattro italiani sequestrati in Libia due anni fa. Le forze dell’ordine sono riuscite a decriptare alcuni sms successivi al sequestro in cui la coppia faceva riferimento alle persone già incontrate qualche tempo prima e facendo intendere che erano i rapitori libici. A marzo 2016, Fausto Piano e Salvatore Failla morirono, mentre gli altri due rapiti, Gino Pollicandro e Filippo Calcagno, riuscirono a mettersi in salvo. Non è la prima volta che balza alla cronaca il nome di Andrea Pardi, amministratore delegato della Società Italiana Elicotteri, già coinvolta in una inchiesta sull’assoldamento di mercenari e un traffico di armi tra Italia e Somalia. E lui, Pardi, anche per l’aggressione del 7 ottobre 2015 a un cronista di Report, dapprima all’esterno e poi all’interno della palazzina nell’area aeroportuale di Roma Urbe, dove ha sede la società. Secondo la denuncia del cronista, Giorgio Mottola, impegnato in un servizio sull’impresa guidata da Pardi, dapprima venne data una manata sulla telecamera, che a quel punto smise di funzionare per alcuni secondi, poi egli stesso – con un braccio stretto al collo – venne trascinato in ufficio, quasi sollevato di peso, senza che nessuno degli impiegati presenti intervenisse in sua difesa nonostante la richiesta ripetuta di aiuto o comunque ponesse fine a quanto stava accadendo. Sul posto poi intervennero le forze dell’ordine chiamate dal giornalista, una volta tornato libero in strada. Il manager venne denunciato; la telecamera del reporter risultò danneggiata, però la scheda digitale con la registrazione dell’accaduto rimase integra. Dalla ricostruzione dell’accaduto fornita dal fronte Rai, il giornalista si trovava all’esterno della palazzina che ospita gli uffici della Società Italiana Elicotteri, ed aveva avvicinato il manager, appena sceso da un’auto di colore bianco con targa straniera e gli aveva fatto una domanda relativa a trattative intavolate per la vendita di velivoli all’estero.
L’indagine del Nucleo tributario della Guardia di Finanza di Venezia nell’ambito di una inchiesta della Dda di Napoli allargata a Roma, Napoli, Salerno e L’Aquila sul traffico internazionale di armi e di materiale dual-use di produzione straniera, ha acceso i riflettori anche sul ruolo della “la dama in nero”, assessore comunale in due giunte di San Giorgio a Cremano, negli anni ‘80 e ‘90 quando militava nelle fila del Psi prima e del Psdi poi. Capelli biondi, sorriso smagliante, Annamaria Fontana, la donna fermata insieme con il marito e il figlio per traffico d’armi destinate all’Isis, è stata anche un politico locale molto conosciuto a San Giorgio a Cremano. Secondo la Procura di Napoli, lei e il marito, Mario Di Leva, imprenditore edile (da islamizzato Jaafar), sarebbero coinvolti in un traffico di armi con Libia e Iran. Per gli stessi reati è stato fermato Luca, uno dei tre figli.
La famiglia di Annamaria Fontana è molto nota a San Giorgio a Creano, anche perché è proprietaria di un intero immobile in piazza Bernardo Tanucci, sotto il quale sorge0il ristorante arabo “Sheik Al Arab” frequentato da giovani e completamente realizzato con mobili, arredi mediorientali. Il titolare del ristorante chiarisce però di non avere nulla a che fare con la famiglia Di Leva-Fontana.
Fontana negli ultimi anni si era allontanata dalla politica cittadina e, secondo gli investigatori, insieme con suo marito, avrebbe incrementato il numero di viaggi in Medio oriente. A San Giorgio la conoscono con il soprannome di «Dama in nero» per la sua abitudine a vestirsi con veli e a coprirsi il volto in particolare nelle visite pubbliche con il presidente iraniano Ahmadinejad. Il suo nome compare in vicende legate ai Servizi segreti. Nel 2009 fu richiesto l’intervento del Copasir, il Comitato di controllo sui Servizi segreti, proprio per indagare sull’attività di una fondazione «Italiani nel mondo» di cui lei sapeva molto e che sarebbe stata negli anni passati una copertura del Sismi, il servizio segreto militare italiano prima della riforma.
Oltre alla palazzina di San Giorgio a Cremano, un’altra proprietà di famiglia è una lussuosa casa a Posillipo. Secondo un articolo pubblicato su Corsera Magazine il 15 luglio 2009, Annamaria Fontana avrebbe avuto anche un ruolo nella liberazione di due soldati israeliani finiti nelle mani degli hezbollah. Un personaggio dal profilo inquietante che divideva la sua esistenza tra San Giorgio a Cremano e i Paesi arabi.
La coppia, convertita all’Islam dopo aver vissuto a Teheran, si sarebbe anche fatta fotografare in compagnia dell’ex presidente dell’Iran, Mahmud Ahmadinejad.
Nel pc di Mario Di Leva, il 68enne di San Giorgio a Cremano (Napoli), fermato insieme alla moglie 52enne, Annamaria Fontana, per aver venduto eliambulanze in Iran e Libia trasformate in elicotteri da guerra, gli inquirenti avrebbero trovato decine di fotografie che ritraggono la coppia con elicotteri militari sovietici e personaggi di rilievo dei Paesi del Medio Oriente. Risalgono al 2008, le foto di Fontana insieme a Ahmadinejad, all’epoca presidente dell’Iran, scattate durante un ricevimento esclusivo. Dagli atti della Dda di Napoli si legge che questo episodio “comprova e dimostra la possibilità dei coniugi Di Leva di frequentare le massime cariche iraniane”.
Nell’immagine, c’è anche una terza persona: si tratta di un interprete iraniano di 56 anni residente a Napoli (nel quartiere Vomero), noto per essere stato un attivo esponente di Hezbollah. Numerosi sarebbero stati i contatti tra Fontana, Di Leva e l’interprete.
É stato convalidato il provvedimento di fermo eseguito ieri dalla Guardia di Finanza di Venezia nei confronti di Mario Di Leva e Annamaria Fontana, i coniugi di San Giorgio A Cremano (Napoli), accusati di traffico internazionale di armi con l’Iran e la Libia. Lo ha deciso il gip del Tribunale di Napoli, Luisa Toscano, che, accogliendo le richieste dei pm della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli Catello Maresca e Maurizio Giordano, ha disposto per entrambi la custodia cautelare in carcere.