È l’istinto che sta dietro le quinte e nelle vene di “Dago Red”: prima un album e poi un concerto, che vede insieme il cantautore Raiz e il chitarrista e produttore Fausto Mesolella. Complici di uno studio che muove dalle origini dell’arte del Sud e arriva lontano. Non snaturandosi bensì moltiplicando verbi, azioni, emozioni, immagini.
Disco che trova la sua origine nell’omonima collezione di racconti scritti dall’italo-americano John Fante e pubblicati negli anni Trenta del Novecento. Nelle parole degli stessi artisti, Dago Red si potrebbe tradurre approssimativamente come “Rosso terrone”. Intendendo il rosso come vino. Ed il “vino terrone” è vino rosso paesano, quello che forse non è amato dai palati raffinati dei sommelier ma che è forte, sincero e inebriante.
Il disco – e il live – è composto dalla rielaborazione di memorabilia del canzoniere napoletano che si mescolano a ciò che napoletano non è d’anagrafe ma che, altrettanto, appartiene allo spirito di questo affascinante duo di cittadini del mondo. Le pulsioni rock, soul, blues, reggae del combo fanno pace – ci provano, perlomeno – con quelle di canzoni che illustrano una terra per esperienze itineranti, multicolor, wop. Ossia, senza passaporto. È così che naturalmente, “Lacreme napulitane” [firmata da Bovio-Buongiovanni] si specchia nella “Immigrant Punk” dei Gogol Bordello di Eugene Hutz. Che ’a muntagna vesuviana, il Vesuvio di “Tu ca nun chiagne” [Libero Bovio-Ernesto De Curtis], diventa the mountain che scalano The Who in “See Me, Feel Me”.
Nello scenario della “” immaginata da Sergio Bruni e Salvatore Palomba a un tratto si accomoda persino Leonard Cohen [“I’m Your Man”] mentre la guerra descritta dalle strofe laceranti di “’O surdato ‘nnammurato” viene esorcizzata da “Give Me Love” di George Harrison. Tutto scorre senza confini musicali, culturali e ideologici: persino “Maruzzella” di Renato Carosone fa un bagno nel Mediterraneo orientale e si reinventa in ebraico. Nel viaggio a ritroso, si attraversano con sorprendente simbiosi la “Campagna” narrata da James Senese e Franco Del Prete e il “Rastaman Chant” di Bob Marley, fino a giungere ad un Festival di Sanremo di metà anni ’70, che ridona l’opportunità di reinterpretare magicamente l’“Ipocrisia” di Angela Luce, ribaltandone il sentimento al maschile.