Ponticelli, 23 dicembre 2016 – sono le 13.35 quando il mio cellulare squilla per la prima volta: “Hanno sparato nel rione. Hanno finito mò mò”.
Da quel momento e fino alle 14.15 sono 37 le telefonate di contenuto analogo che ho ricevuto. I messaggi di posta su facebook non si contano. Mi consegnano tutti la stessa versione che si sintetizza in due parole: spari e paura.
Nessuno sa dire se ci sono morti o feriti e cosa è successo: nessuno ficca la testa fuori dalle finestre, chiuse a doppia mandata per evitare che anche il sole possa violare l’intimità del silenzio che deve regnare in queste circostanze.
“Avete chiamato la polizia?”
“No, abbiamo chiamato te. Perché nel rione non ci puoi venire, però, in casi come questo c’è bisogno di te. La gente, ti deve vedere la gente, altrimenti la paura aumenta.”
La minaccia che la camorra infligge a un giornalista, quindi, diventa una sorta di pedina di scambio al centro di una tacita negoziazione tra il volere del popolo e quello del clan.
Il Rione in cui si è sparato, infatti, non è una piazza qualunque: è “il Lotto zero” di Ponticelli, così vale la realmente la pena di chiamarlo quando c’è da raccontare un fatto di camorra.
Il Rione che conosco meglio di qualunque altro e che, paradossalmente, adesso, è l’unico contesto del quartiere in cui la mia presenza non è gradita alla criminalità organizzata.
Un rione nel quale, l’ultima volta, la camorra aveva riversato la sua ferocia lo scorso giugno: un agguato voluto per giustiziare il Boss dei Barbudos, Raffaele Cepparulo, costato la vita anche al 19enne Ciro Colonna, un ragazzo nato, cresciuto e, suo malgrado, morto in quel rione.
È cambiato il vento, dopo quell’agguato, nel Lotto zero, per effetto di una serie di combinazioni camorristicamente vincenti per un clan, come quello dei De Luca Bossa, che giaceva in un’apparentemente sonnacchiosa inerzia e che proprio tra i palazzoni grigi del rione annovera la sua roccaforte.
Delle scarcerazioni di spessore, alle quali hanno fatto seguito una serie di alleanze volte a ringalluzzire “i numeri” del clan, sotto ogni aspetto: uomini, armi, soldi, controllo delle piazze di spaccio.
“È iniziata la guerra”: avevano sospirato a denti stretti gli abitanti del rione pochi giorni fa. Perché, chi il rione lo vive dall’interno, la respira nell’aria la temibile tensione che aleggia, anche quando tutto sembra tacere.
Il clima è teso e “l’invito a non frequentare” il Lotto Zero, pervenutomi non appena sono tornata dalle vacanze estive, conferma che è tempo di “pensare alle cose serie” per i De Luca Bossa e i loro nuovi gregari. Chi vive nel rione racconta il pericolo che aleggia tra i palazzoni grigi spiegando che le “figure-simbolo” del clan sono chiuse in casa da settimane. Non si vedono più in giro.
“Né i grandi né i piccoli.”
E, l’agguato odierno, comprova che la controparte è pronta ad aprire il fuoco quando “le personalità di spessore” vengono intercettate dai loro cecchini per strada.
Le cronache nazionali raccontano di due pregiudicati feriti in agguato nel primo pomeriggio in via Bartolo Longo.
Il cognome dell’unico obiettivo dell’agguato ricopre un peso considerevole in chiave camorristica: Salvatore Solla, 64 anni, raggiunto da quattro colpi di arma da fuoco al petto, ciò nonostante, non è morto. Ricoverato al vicino ospedale Villa Betania di Ponticelli, versa in condizioni gravi, ma non è in pericolo di vita. L’uomo fu arrestato insieme al figlio, perché invischiato in un giro di estorsioni ai danni dei commercianti di Ponticelli ed è una delle “scarcerazioni di spessore” avvenute nel cuore dell’estate e che ha conferito al clan l’auspicio di rivendicare la propria egemonia criminale tra le mura di Ponticelli, nell’ambito di un quadro confusionario in cui tutti comandano tutto e nessuno è padrone di niente.
E poi c’è quel “conto aperto” con i De Micco, ancora da saldare, quello che ha generato una guerra senza fine e che si combatte a suon di spari e che andrà avanti inevitabile ad oltranza, finché la vendetta verrà gestita come una partita di ping pong che si combatte a suon di spari e alla morte di un uomo, la controparte replicherà con la morte di un altro uomo dell’opposta fazione.
I De Micco, il clan di Bodo, l’organizzazione più militarizzata e ben organizzata del quartiere, sotto il profilo organico e numerico e, per questo, starebbe tentando una duplice “cacciata” – allontanamento del clan dalla propria roccaforte attraverso un’autentica azione militare – da Ponticelli: quello che resta dei D’Amico dal Rione Conocal e i De Luca Bossa dal Lotto Zero.
Nell’agguato di oggi, nel quale è stato gambizzato anche il 43enne pregiudicato Giovanni Ardu, guardaspalle di Solla, ferito per rendere inoffensivo il suo ruolo di bodyguard e “colpire al cuore” il reale obiettivo dei sicari e, di riflesso, inviare un messaggio ben chiaro al clan.
Qualche giorno fa, è stato arrestato N.E., il capo delle guardie del corpo di un altro ras di Ponticelli, in rotta con i De Micco. In seguito alla rottura con il clan di Bodo si era trasferito da Ponticelli nella zona del Vasto, quindi a Napoli centro.
Figure marginali, quelle dei guardaspalle, manovalanza che sceglie di diventare “carne da macello”, perché consapevolmente indossano la pettorina del bersaglio che, se tutto va male, si becca un proiettile, com’è successo ad Ardu, se tutto va bene, finisce dietro le sbarre, come N. E., perché, in quanto guarda del corpo di un ras, è senza dubbio armato.