E’ approdato presso la Suprema Corte il processo a carico di Mariano Abbagnara, detto “faccia janca”, ritenuto, nonostante la sua giovanissima età, elemento di spicco del gruppo di fuoco dei “Fraulella”, ovvero il clan D’Amico, operante nella roccaforte del Rione Conocal di Ponticelli ed in lotta sul territorio con l’avverso clan dei De Micco.
Il baby boss è divenuto celebre grazie alla sua testimonianza in “Robinù”, il film documentario di Michele Santoro, presentato in anteprima al festival del cinema di Venezia, approdato nelle sale cinematografiche il 6 e 7 dicembre scorsi e finito al centro di numerose polemiche proprio perché consegna un ritratto tanto feroce quanto crudo dell’ideologia criminale che ispira pensieri ed azioni di questi giovani precocemente pronti ad uccidere.
L’amore professato da Mariano, a favore di telecamera, nei riguardi del “kalash”, lasciano presagire “il legame morboso” che intercorre tra il giovane e le armi.
Un presagio tramutatosi in un provvedimento concreto da parte della legge: alcuni mesi fa, infatti, Abbagnara è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per aver partecipato ad alcuni agguati che portano la firma del clan D’Amico, proprio quale componente del gruppo di fuoco coinvolto nella faida contro il clan De Micco per la conquista dell’egemonia criminale tra le mura del quartiere Ponticelli.
Le accuse nei confronti di “faccia janca” venivano confermate dal Tribunale del riesame.
Non solo, la sua posizione si aggravava in seguito all’esito della conferma anche in grado di appello della condanna a 16 anni per il concorso in un omicidio che trovava la sua ragione in un debito connesso al narcotraffico, una vicenda nella quale Mariano viene tirato in ballo da un suo amico, Raffaele Stefanelli, divenuto poi collaboratore di giustizia.
Un omicidio sanguinario e cruento quello di Raffaele Canfora, 25enne esponente del clan Vanella Grassi, ucciso per questioni legate a una partita di hashish del valore di 12mila euro. Quest’ultimo recluta Abbagnara per mettere a segno il suo piano di morte ed è proprio il giovane, all’epoca dei fatti minorenne: omicidio aggravato dalle finalità camorristiche, distruzione e soppressione di cadavere, porto abusivo d’armi, questi i reati che gli valgono 16 anni di carcere.
Abbagnara torna in tribunale, al cospetto della prima sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal dott. Massimo Vecchio, per difendersi dalle accuse che lo annoverano come un membro del gruppo di fuoco del clan di Fraulella. La Corte ha ritenuto di dover accogliere in pieno le argomentazioni difensive dell’Avv. Dario Vennetiello, legale di Abbagnara, e sostenute in aula dall’Avv. Saverio Campana, annullando con rinvio ed in toto l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame.
Nel corso del nuovo giudizio occorrerà verificare se sussistono o meno i presupposti per ritenere il baby-boss già un vero camorrista e se competente a decidere è l’autorità giudiziaria ordinaria o quella del Tribunale dei minorenni come diffusamente sostenuto dalla difesa.
Sarà necessario, dunque, un nuovo ed approfondito giudizio dinanzi al Riesame di Napoli, giudizio di rinvio che vedrà come protagonista anche Carmela D’Amico, in relazione alla quale la Suprema Corte, seppur limitatamente al delitto associativo, ha annullato il provvedimento impugnato in accoglimento del ricorso dell’avv. Domenico Dello Iacono.
Per ora, né le numerose intercettazioni che vedono Abbagnara protagonista, né il racconto di ben cinque pentiti sono bastati a sorreggere l’impianto accusatorio davanti ai giudici di legittimità, puntualmente demolito dalle argomentazioni difensive accolte dai Giudici della Suprema Corte.