Il crudo ed incisivo documentario di Santoro, in scena nelle sale cinematografiche italiane il 6 e 7 dicembre, si conclude con il sorriso compiaciuto e lo sguardo astuto di Mariano Abbagnara, uno dei giovani protagonisti della pellicola che accende i riflettori sugli ormai celebri baby-boss.
“Faccia janca”, questo il soprannome con il quale Mariano è più conosciuto tra le mura del Rione Conocal di Ponticelli, il “suo” rione, nel senso più possessivo del termine, perché quando vi farà ritorno, in virtù delle leggi che regolamentano la malavita, tutti dovranno tributargli più rispetto, per effetto della pena scontata in carcere e quel rione sarà un po’ più “suo”. Abbagnara è una delle figure più compiante ed acclamate dai ragazzi che vivono in quel contesto e da quando hanno iniziato a girare in rete i filmati che anticipavano la sua testimonianza in Robinù è diventato una vera e propria star. Ne è consapevole, Mariano, perché il filo immaginario che lo lega al modo di essere e di pensare di “quelli che lo stanno aspettando” si è tutt’altro che dissolto. E, infatti, le ore successive al debutto sul grande schermo di “faccia janca” accolgono scene dai contenuti fortemente indicativi.
Durante la serata di mercoledì 7 dicembre, mentre nelle sale cinematografiche dell’intera penisola, gli italiani conoscevano Mariano e rimanevano basiti dalla preponderante predisposizione a delinquere che trapela dal suo modo di essere e pensare, i suoi amici, i ragazzi e le ragazze del Rione Conocal di Ponticelli, lo hanno portato in gloria come un re e, soprattutto sui social, hanno dato luogo ad un autentico tributo/elogio, a base di foto e post.
Una ragazzina minimizza il decennio che il giovane “Robinù” deve ancora trascorrere in carcere, rilanciando la veemenza di Mariano con un “torneremo più forti di prima”: 14 anni e un’incontrollabile passione per “e guagliun’ e miez’ a via”, tant’è vero che chiama in causa uno dei giovani rampolli del clan D’Amico che con orgoglio esibisce su facebook la sua appartenenza alla famiglia che “comanda” il Conocal, attraverso l’ostentazione di quel soprannome: “Fraulella”.
Il nome e le foto di Mariano vengono costantemente associate a quelle degli altri giovani gregari del clan finiti dietro le sbarre e che al pari di “faccia janca” devono essere rispettati e ricordati.
La “solidarietà virtuale” serve soprattutto a questo: “è compito di chi resta fare in modo che chi vene arrestato non sia dimenticato e i nemici – affiliati ai clan rivali – continuino a temerli, comprendendo che il clan non è indebolito da quella perdita, ma deve iniziare ad avere paura pensando a quando torneranno, ancora più forti e incattiviti dall’esperienza del carcere.”
Parla così un ragazzo del Rione, uno di quelli che Mariano lo conosce bene e lo venera come una divinità. È lui ad “consigliarmi” di non parlare con nessuno e di non fare domande in giro su Mariano, se sono “alla ricerca della verità vera”, perché “da quando è uscito il film, un sacco di gente si va atteggiando che lo conosce e inventano un sacco di storie solo per riempirsi la bocca con la sua importanza”. Preservare integra la sua immagine è un desiderio condiviso ed impellente, dentro e fuori dal mondo dei social network.
Cosa penseranno di Mariano i ragazzi di Milano, Torino, Bologna che hanno visto “Robinù”?
“Se sono intelligenti, prima di giudicare, cercano di farsi un’idea loro… vengono qua, si fanno un giro nel Rione o magari si vengono a fare proprio una vacanza. Perché se non conosci il posto da dove proviene una persona, non puoi capire la sua storia. Poi, se si informano sulla storia di Mariano, iniziano a rendersi conto di quanto è infame la giustizia italiana che rovina la vita a un ragazzo condannandolo a sedici anni di carcere solo per aver partecipato a un omicidio. Non è stato Mariano a uccidere a quello, eppure la legge non lo considera proprio questo fatto. Penso che stanno cercando di fermarlo perché hanno iniziato a capire la sua forza e che con i capi in carcere, il Rione fa ancora più paura. I tanti arresti di questi ultimi anni dimostrano la forza del clan e quanto sia difficile “smantellarlo” definitivamente, soprattutto perché ci sono tanti giovani pronti a servire il clan. Se sono intelligenti, i ragazzi di fuori – quelli che vivono in altre città – provano rispetto e ammirazione per Mariano che ha dimostrato di essere un “uomo finito” prima ancora di compiere 18 anni. In quel film, Mariano dice tutte cose vere e che tutti noi pensiamo. Racconta una cosa difficile da spiegare: “a vit’ ‘e miez’ ‘a via” – la via di strada, ovvero, quella di chi decide di servire la camorra – ai tempi di oggi. Di quello che succedeva prima, ormai tutti sanno tutto, ma parlare di quello che succede oggi è una responsabilità che solo chi ha una personalità forte si può prendere.”
Rispetto, onore, fedeltà, solidarietà, senso d’appartenenza: questi i sentimenti che trapelano, dagli occhi, dalle emoticon e dagli hashtag che parlano di Mariano. Continui, incalzanti, incessanti, manifesti affissi sui “muri virtuali” di quei giovani fan della camorra che sottolineano senza mezzi termini la forza e “la grandezza” del giovane Abbagnara e lo esortano a gran voce a non mollare, ricercando nella beltà di quello che lo attende nel Rione, il coraggio e la fermezza necessari per non mollare e continuare a contare, insieme a loro, i giorni che ancora mancano alla fine della pena che sta scontando nel carcere di Airola. Le foto che raccontano i momenti di “sballo” in discoteca e durante le feste, utilizzate per dispensare ottimismo e compensare quella malinconia che non deve mai trasformarsi in pietà o in altri sentimenti “docili”.
Eppure, da bambini non erano così e, in tanti, in queste ore, si lasciano andare alla nostalgia di quei tempi superati e che non torneranno più, proponendo foto che mostrano Mariano da bambino e da ragazzo, quando il suo volto non era ancora forgiato dalla violenza e dal livore di delinquere che gli hanno divorato l’anima.
Vi siete mai chiesti come sarebbe stata la vostra vita senza “malavita”?
“È una domanda che potevi farci se fossimo nati al Vomero. Qua, nel Conocal, nessuno ci avrebbe rispettato, avremmo fatto la fame e saremmo tra i tanti ragazzi con una laurea attaccata in faccia al muro e senza un soldo in tasca. Crescere così, qua, è la normalità. Per voi, chi prende più lauree è quello che fa più carriera, per noi “quello buono” è quello che fa più reati. La nostra vita non poteva e non può essere diversa, altrimenti ci mangiano”. Anche se questo quesito gironzolasse nella mente di qualcuno di loro, quei ragazzi sanno bene che quest’ultimo rientra in quel genere di pensieri che non vanno pronunciati a voce alta, perché stonano rispetto al verbo da seguire e dal quale lasciarsi ispirare: servire il sistema e vivere nel segno della malavita, rappresenta una strada a senso unico, senza scorciatoie o piazzole di sosta, percorribile a velocità sempre più sostenuta, dov’è severamente vietato guardare ciò che ci si lascia alle spalle dallo specchietto retrovisore.
In sostanza, Mariano e i baluardi della camorra della new generation, lasciano emergere in tutta la sua disarmante sfrontatezza, il senso d’appartenenza e la spontanea capacità di riconoscersi come simili che lega Mariano ai suoi amici, e viceversa, nonostante la reclusione che rende impossibile la comunicazione costante e diretta.
Un sentimento consolidato dalla visibilità acquisita da “faccia janca”: è come se il Mariano di Robinù avesse inviato un messaggio ben preciso ai ragazzi del Conocal e loro lo stanno seguendo ed “eseguendo” alla lettera.
Il loro compito è “pompare” il mito per accrescere con vanto ed orgoglio il senso di esaltazione che aleggia intorno alle sue frasi, diventate già dei tormentoni che quei ragazzi ripetono con enfasi e fierezza, mentre sognano e fantasticano sul “solenne” ed attesissimo momento del suo ritorno.
Gli hai mai scritto una lettera o lui ha scritto a voi?
“Non c’è bisogno di farlo: lui sa che lo stiamo aspettando e lo aspetteremo sempre e lui sa chi sono i suoi veri amici ed è sicuro che non ci dimenticheremo di lui. E anche se ci fossimo scritti, queste sono cose di cui non si parla in pubblico.”
Come immagini le vostre vite quando uscirà?
“Questo non si può dire, ma sia noi che lui sappiamo già cosa fare e da dove ripartire. Per il momento possiamo solo sperare che ottenga la riduzione di pena.”