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Bullismo, la disperazione di una madre: “per salvare mio figlio dai bulli, vado via da Napoli”

Luciana Esposito di Luciana Esposito
16 Novembre, 2016
in In evidenza
2
Bullismo, la disperazione di una madre: “per salvare mio figlio dai bulli, vado via da Napoli”
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32838755-bambino-con-gli-occhiali-piange-e-bulli-li-deridevano-e-isolato-su-sfondo-bianco-Archivio-FotograficoIl bullismo ormai assume gli allarmanti tratti di una piaga dilagante tra bambini, ragazzini, adolescenti.

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Il “debole” preso di mira dal branco è un fenomeno tutt’altro che nuovo ed inedito, ma l’aggressività e la frequenza con le quali le vicende di bullismo sfociano in episodi di violenza e soprattutto in suicidi, inizia a conferirle gli autentici tratti della piaga sociale. Vite fragili e acerbe che decidono di mettere fine a quel tormento abbracciando la soluzione più estrema, imboccando l’unica strada senza ritorno.

Assurdo, inaccettabile, imperdonabile, intollerabile che questo accada in un’epoca ipersupportata dal progresso. Lo è ancor più il fatto che la moderna tecnologia venga utilizzata per fomentare ed amplificare il modus operandi dei bulli.

Un fenomeno dilagante soprattutto tra i banchi di scuola. Tantissime le segnalazioni che costantemente pervengono alla nostra redazione, soprattutto da parte di madri disperate che raccontano di figlie in sovrappeso prese di mira dalle coetanee, ragazzine alle quali vengono incendiati i capelli tra i banchi di scuola, adolescenti autrici di pestaggi ai danni di compagni di classe disabili, rei di aver additato i loro padri come “camorristi” perché detenuti in carcere per associazione a delinquere, ragazzini che quotidianamente picchiano loro coetanei solo per fargli “pesare” il disagio di qualche difetto fisico o di qualche chilo di troppo, baby-gang che strappano i libri di scuola e incendiano i quaderni con i compiti correttamente svolti, prima di entrare in classe, per “punire” il secchione, reo di amare lo studio e frequentare la scuola con entusiasmo. Tra le testimonianze più significative, si fa spazio la vicenda di Elisa, madre di un bambino di sette anni che da quando ha iniziato a frequentare la scuola elementare ha iniziato un vero calvario.

Elisa è una madre giovanissima che ha perso il marito, divorato nel giro di pochi mesi da un tumore al cervello, quando suo figlio aveva appena due anni. Vive da sola con il suo bambino, lavora part-time come segretaria e per arrotondare effettua piccoli aggiusti sartoriali.

Le era stato assegnato un alloggio popolare, ma Elisa ha preferito indebitarsi e sobbarcarsi le spese di un piccolo monolocale in affitto pur di non crescere suo figlio in un contesto in cui degrado e camorra spadroneggiano. Lo ha fatto per proteggerlo e per tenerlo lontano da certi brutti ambienti, affinché potesse impartirgli un’educazione sana senza condizionamenti esterni e fortemente deleteri e minacciosi.

All’asilo è tutto più facile, i bambini sono piccoli, innocenti e “tutti uguali”, suo figlio ha interagito con facilità e spontaneità con i suoi pari. Il suo calvario ha avuto inizio quando ha iniziato a frequentare la prima elementare.

“È un bambino molto intelligente, ama tantissimo leggere, ha imparato quando stava per compiere cinque anni. Trascorriamo così i nostri pomeriggi: lui mi legge delle favole e a volte anche “i libri dei grandi”, come li chiama lui, mentre lavoro agli aggiusti agli abiti e ai pantaloni che mi vengono commissionati o confeziono ricami all’uncinetto da vendere.

Quando legge qualche parola che non conosce, si ferma, mi guarda e mi chiede: “mamma che significa? Non la conosco questa parola!” – racconta Elisa – non ha problemi di apprendimento, anzi, a scuola va benissimo e non mi ha mai dato problemi. In seguito ad alcuni disturbi riscontrati alla vista è costretto a portare gli occhiali: questa è la sua condanna.

Un gruppetto di ragazzini più grandi di lui, parliamo di bambini di età compresa tra gli 8 e i 9 anni, appartenenti a famiglie non proprio perbene, hanno iniziato a prenderlo di mira.

Ho perso il conto degli occhiali che gli ho comprato.

Lo aspettano nei corridoi o all’uscita di scuola per rompergli gli occhiali. Ho fatto di tutto per aiutarlo, sono disperata. Purtroppo, io non posso andare a prenderlo, perché quando esce da scuola, il mio turno di lavoro in ufficio non è ancora terminato. La mamma di un suo amichetto va a prenderlo e resta a casa con loro fino a quando non passo “a ritirarlo”. È stata lei ad indicarmi i bulletti che lo hanno preso di mira, perché mio figlio è terrorizzato, quando gli chiedo di parlarmi di quello che gli fanno quei bambini, si chiude a riccio, nel vero senso del termine, non ne parla con nessuno, eppure è un bambino loquace, per zittirlo basta chiedergli: “Chi ti ha rotto gli occhiali?”

Sono riuscita a mettermi in contatto con la madre di uno di quei bulletti e poco ci è mancato che anche lei aggredisse me! Mi ha detto che non mi dovevo permettere di infangare suo figlio e che farei bene piuttosto a chiedermi cosa ha fatto mio figlio per provocare quella reazione. Tra l’altro, mi ha pure minacciata, facendomi presente che io sono una ragazza sola con un bambino e loro una famiglia “grande e numerosa”.

Le ho provate davvero tutte: ho parlato con le maestre, ho segnalato la situazione alla preside, ho detto a mio figlio di togliersi gli occhiali quando li incontra, ma è anche peggio, perché lo picchiano fino a quando non gli dice dove li ha messi e glieli rompono comunque. Da premettere che queste cose le ho scoperte attraverso “mie indagini”, perché mio figlio è chiuso in sé stesso e a scuola nessuno sa spiegarmi cosa succede.

“Cose di bambini! Signora, lei è troppo apprensiva!” mi sono sentita dire da una maestra.

Non è per lo scomodo di dover ricomprare gli occhiali tutte le volte, ma per il trauma e il terrore che mio figlio è costretto a subire. Non voglio che cresca così o che sviluppi un carattere violento per difendersi.

Quindi ho preso una decisione drastica: Napoli, questa Napoli, lasciata in balia di piccoli bulli che si fanno le ossa sulla pelle di ragazzini come mio figlio per diventare “bravi camorristi” da grandi, non è un contesto meritevole di accogliere un bambino speciale come mio figlio.

Non voglio che si perda nelle briglie della violenza che dilaga nelle terre in cui comanda la camorra. Alla fine di questo mese ci trasferiamo al Nord, andiamo via da Napoli e non intendo tornarci mai più.

Sono sola al mondo e l’unica cosa che da un senso ala mia vita è il mio bambino. Ho il diritto di proteggerlo e non ho maturato questa decisione pensando che altrove queste cose non succedono, ma crescere un bambino in maniera sana tra le regole della camorra è praticamente impossibile, almeno per una ragazza sola.

Prima di andare via da Napoli per sempre, ci tenevo a rendere pubblica questa vicenda, sperando che possa servire a sensibilizzare di più sull’argomento, soprattutto chi ha il potere di intervenire per aiutare bambini indifesi e non lo fa.” 

Tags: . napolibullibullismocamorraignoranzaPauraragazza madrescuolaviolenza
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