Questa mattina si è svolta a Napoli la conferenza stampa della mostra “Meraviglie e paradossi. Il design dello stupore”, promossa e incentivata dalla Fondazione Plart e presieduta dalla direttrice Maria Pia Incutti, che dopo un lungo percorso a cavallo tra cultura d’impresa e la passione di collezionare opere d’arte contemporanea e oggetti in plastica, ha fondato nel 2008 questa straordinaria Fondazione.
E’ stata proprio lei una delle prime a eleggere la plastica a materiale degno di essere custodito ed esposto in un museo, al fine di promuovere una costante ricerca scientifica legata ai materiali polimerici nell’ambito del design. In questo modo, la Fondazione si è affermata come realtà unica, non solo nella città di Napoli, ma in tutto il panorama mondiale.
La curatrice della mostra Ceciclia Cecchini, nonché curatrice scientifica del Plart e docente di Disegno Industriale alla “Sapienza” Università di Roma, ha individuato nel lavoro nato dall’incontro tra il regista Andrea Barzini – noto per una lunga carriera televisiva e cinematografica e per la regia della straordinaria fiction di successo Don Matteo – e l’architetto Silvio Pasquarelli – direttore creativo di Inarea e artista tra i più rappresentativi del panorama creativo italiano, impegnato da anni in un’attenta ricerca sulle tecniche manuali di rappresentazione ed espressione – un discorso congeniale all’attività svolta dalla Fondazione Plart. Come spiega la Cecchini, “questa mostra, di approccio ironico, ha vari piani di lettura, dal divertimento alla riflessione, dalla ricerca alla didattica, il tutto realizzato con materiale di consumo veloce, giunto alla fine del suo ciclo di vita e che quotidianamente abbiamo sotto gli occhi..”.
Dopo una lunga e accurata preparazione, la mostra presenta sei grandi busti posati, come statue marmoree, su bianchi piedistalli, che raffigurano sei icone dell’immaginario collettivo: il Re Sole, la Guerra, l’Estate, Grace Jones e di Donna Felicità, a cui si aggiunge l’opera esclusiva commissionata dal Plart di Dà Dà Miracolo, uno stralunato santo dai sontuosi abiti composti da flaconi di sapone, realizzato per omaggiare la città di Napoli in occasione del centenario del Dadaismo.
A tal proposito, per assemblare le loro opere, questi due originali artisti prediligono oggetti di plastica, così come il dada prediligeva materiali “ricchi”, quali il marmo. In tal senso, la plastica, solitamente considerata come materia dannosa, diventa per i due autori “il marmo del terzo millennio”, ovvero, spiega Barzini, “di tutti i materiali contemporanei, la plastica è il più infantile, con i suoi colori primari, ma anche il più vituperato, abusato e mai riconosciuto nella sua gloria, che è modesta solo perché (non sempre) è a buon mercato”. Come spiega Cecilia Cecchini, “l’immaginazione e la perizia manuale” di questi due autori “rendono gli umili oggetti che affollano la nostra quotidianità domestica,la materia prima ideale per questi imponenti busti”. Un lavoro originale che, riferisce Pasquarelli, “predilige la manualità e si distanzia dai pixel e dall’epoca del digitale, dando spazio alla materia, all’artigianalità e alla ricerca, che sono le maggiori componenti della mostra”. E, aggiunge Barzini, “l’arte non deve sempre svolgere il ruolo critico di messaggero dei brutti tempi in cui viviamo, ma può anche invitare alla riflessione con mezzi più leggeri ed estetici”.
Obiettivo della mostra è, dunque, quello di divertire e appassionare lo spettatore attraverso la componente ludica tipica del ready made, ma anche quello di spronarlo ad una riflessione critica sulla società contemporanea e i suoi voraci consumi, in relazione all’uso, al consumo e al riutilizzo dei materiali polimerici. Un lavoro restituito nell’ambito della mostra grazie alle affascinanti opere grafiche (bozzetti), ai quadri e all’abaco degli oggetti che nel loro insieme forniscono la chiave di lettura delle opere, a cui si aggiunge il cortometraggio realizzato dai due artisti “Preferisco lo stupore”, per offrire l’opportunità di approfondire la parte dedicata alla nascita dell’opera d’arte, che rimane nella maggior parte dei casi, segreta e inconfessata. A questo proposito, si aggiunge l’eccezionale lavoro del catalogo della mostra, edito dalle Edizioni Fondazione Plart in lingua italiana e inglese, che si è avvalso di importanti contributi pervenuti dal mondo culturale.