L’utilizzo improprio dei social network è un argomento di dibattito che si fa sempre più attuale e calzante, con l’avvicendarsi di fatti di cronaca che consentono agli “effetti collaterali” delle “diavolerie del web” di emergere in tutto in tutta la loro temibile pericolosità.
Un messaggio sui social network è una violazione degli arresti domiciliari: chi invia un post su Facebook mentre è sottoposto a questa misura cautelare rischia di andare in carcere.
Questo è quanto decretato da una sentenza con cui la seconda sezione penale della Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro l’ordinanza con cui il Riesame di Catania aveva confermato l’aggravamento, nei suoi confronti, della misura di custodia, dai domiciliari al carcere: i difensori sostenevano che il messaggio pubblicato su Facebook fosse stato “impropriamente attribuito” al loro cliente, che si era, a loro dire, “solo limitato a condividerlo”.
Il messaggio era stato inviato a una “vittima della condotta illecita” dell’indagato, ma, secondo i legali, non aveva “un chiaro contenuto intimidatorio ne’ una inequivoca coloritura minatoria” e dunque non si prospettava “come una condotta trasgressiva” che giustificasse la sostituzione dei domiciliari con la custodia in carcere. I giudici della Suprema Corte, con una sentenza depositata oggi, hanno respinto il ricorso evidenziando che “la prescrizione di non comunicare con persone estranee deve essere inteso nel senso di un divieto non solo di parlare con persone non conviventi, ma anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocali che a mezzo di congegni elettronici”.
Inoltre, rileva la Cassazione, nel caso in esame “il messaggio diffuso sui social network è oggettivamente criptico per i più ed indirizzato a chi può comprendere perché sottintende qualcosa di riservato e conosciuto da una ristretta cerchia di persone ed è chiaramente intimidatorio, a dispetto del tono volutamente suggestivo, rafforzato dalle coloratissime emoticon, ancora più esplicitamente intimidatorie”. Bombe, pistole e orpelli simili, nel gergo criminale, affiancati alle testo, vogliono avvalorare e fortificare i toni e il senso del messaggio, oltre a conferire un tocco di teatralità alla scena parafrasata.