Dovevano essere rimossi da Facebook i link e le informazioni relativi a Tiziana Cantone, la 31enne di Mugnano che si è suicidata dopo la diffusione sul web, a sua insaputa, di video hard che la ritraevano intenta a praticare atti sessuali con diversi partner.
Una volta che era emersa l’illiceità dei contenuti anche in assenza di un ordine dell’autorità amministrativa o giudiziaria, il celeberrimo social network doveva provvedere alla rimozione dei contenuti video.
Lo ha deciso il Tribunale civile di Napoli Nord che ha parzialmente rigettato il reclamo di Facebook Ireland, dando invece ragione alla madre di Tiziana, Teresa Giglio.
Il caso di Tiziana, protagonista di un cyber harrassment clamoroso che l’ha portata a un gesto estremo, sembrava ormai un file giudiziario a metà tra la diffamazione e l’istigazione. Invece, un pronunciamento del tribunale di Napoli si rivolge a Facebook scardinando una delle poche certezze di questo habitat: che i social non hanno obbligo di monitorare e di conseguenza cancellare contenuti senza che ci sia la direzione imposta dai giudici o da un’autorità garante.
Il caso insomma, non è finito, e ancora una volta anche il potenziale distruttivo nei confronti del dibattito attorno al web e alla presunta “gogna” (termine insopportabile e illetterato). La novità viene dalla notizia che il tribunale di Napoli ha parzialmente rigettato il reclamo di Facebook contro l’ordinanza dello stesso che aveva imposto di cancellare i contenuti hard o comunque collegati ai video che avevano portato la donna all’esasperazione. Parrebbe una decisione coerente e giusta, in realtà così com’è – ma in attesa di leggerla e capirla meglio – è una bomba dentro il social network.
Fino ad oggi, infatti, è sempre stato valido un principio che sembrava una stella polare: secondo la direttiva EU e la legge 70 del 2003, non c’è alcun obbligo per l’hosting provider (il modo in cui viene legalmente definito un oggetto come Facebook in Italia) di controllare preventivamente tutte le informazioni caricate sulla varie pagine. Non potendo, perché sarebbe impossibile, non può neanche rimuovere i contenuti senza che la richiesta venga da soggetti “qualificati”, come l’autorità garante della privacy oppure l’agcom per il copyright. Invece il tribunale di Napoli dice in sostanza che avrebbe dovuto cancellarli subito.
Facebook Italia ha intanto risposto al rigetto del proprio reclamo in tribunale. Poche parole di un portavoce del social network, che ribadiscono l’impegno anti bullismo e si concentra su un aspetto salvato dal tribunale: “Siamo profondamente addolorati per la tragica morte della Sig.na Cantone e confermiamo il nostro impegno a lavorare con le autorità locali, gli esperti e le ONG per evitare che un caso simile accada di nuovo. Non tolleriamo contenuti che mostrino nudità o prendano volutamente di mira le persone al fine di denigrarle o metterle in imbarazzo. Contenuti come questi vengono rimossi dalla nostra piattaforma non appena ne veniamo a conoscenza. Accogliamo questa decisione perché chiarisce che gli hosting providers non sono tenuti al monitoraggio proattivo dei contenuti.”