Stefania Formicola è morta a 28 anni, uccisa da un marito trasformatosi in aguzzino, quando la donna aveva ormai deciso di separarsi.
Madre di due figli, Stefania lavorava in una casa di riposo per anziani. Una vita semplice, resa un inferno da un sogno d’amore trasformatosi in un incubo.
Il matrimonio tra Stefania e suo marito Carmine D’Apunzo negli ultimi quattro anni era diventato un inferno: litigi continui, botte, minacce erano all’ordine del giorno.
Stefania, come spesso accade a molte donne, aveva sottovalutato il pericolo e non aveva mai una denuncia vera e propria. La paura oppure un brandello di quell’amore che, nonostante tutto, continua a sopravvivere impedendo di “mettere nei guai” il compagno carnefice: una costante che si ripete nelle storie delle donne vittime di suicidio.
Aveva trovato la forza per avviare le pratiche per chiudere definitivamente il matrimonio, ma Carmine ha replicato togliendole la vita.
Le ha sparato mentre erano all’interno della propria auto. Stefania, colpita all’addome, è morta all’istante.
Alle prime luci dell’alba dello scorso 19 ottobre, Carmine d’Aponte, si è presentato sotto casa del suocero dove Stefania abitava, a San Marcellino, nel Casertano.
L’omicidio è avvenuto in via Plutone a Sant’Antimo. L’uomo, dopo aver sparato, ha chiamato il 118, ma i soccorsi del personale sanitario sono stati inutili. D’Aponte è stato arrestato sul posto. Secondo i familiari della vittima, Stefania potrebbe essere stata costretta sotto la minaccia della pistola a salire in auto.
La sera prima, forse nel timore di essere aggredita dall’uomo, Stefania era andata a dormire a casa dei genitori a San Marcellino.
Adesso, Carmine dovrà difendersi dall’accusa di omicidio aggravato e detenzione illegale di arma.
Intanto, tra gli effetti personali dell’ennesima vittima di un marito-assassino, si fa spazio un foglio a quadretti, sul quale Stefania ha scritto il sul testamento: «In caso di mia morte, qualunque sia la causa, mio figlio deve essere assolutamente affidato ai nonni». In calce, la firma e la formula di rito, «Dichiaro ciò con tutte le mie piene facoltà mentali», e la data: 28 aprile 2013. Non aveva ancora compiuto 25 anni, Stefania, quando scrive queste parole che, oggi, in virtù del triste destino al quale è andata incontro, assumono tutt’altro sapore e valore.
Non era la prima volta che Carmine professava la sua indole violenta, come detto, Stefania era “abituata” s subire botte e pestaggi. L’episodio più eclatante si verificò quando Carmine le conficcò la pistola in bocca davanti al bambino di quattro anni. Il papà di Stefania si precipitò dai carabinieri, una volta appreso l’accaduto. Una denuncia mesi formalizzata perché Stefania no voleva, aveva paura di scatenare una reazione così violenza, inconsapevole del fatto che agendo in questo modo ha decretato la sua condanna a morte. Otto giorni prima, Stefania e i suoi genitori avevano dovuto chiamare nuovamente i carabinieri: lei aveva deciso di troncare quella relazione e aveva invitato il marito a lasciare la casa di San Marcellino. Un rapporto conflittuale, aggravato dai problemi economici, spesso sanati dai genitori di Stefania. Carmine non ha mai lavorato, si adattava arrangiandosi con lavori saltuari, a mantenere la famiglia era Stefania.
Il padre di Stefania aveva provato ad aiutare il marito della figlia: aveva fatto un investimento e aveva rilevato un bar affidandone la gestione a Carmine, ma nel giro di tre mesi lo aveva ridotto sul lastrico, perché invitava gli amici e offriva le consumazioni.
Un destino tristemente scritto, al quale la giovane donna e mamma si era inconsapevolmente condannata. La tragedia più grande insita in una morte simile sta nel fatto che la vittima comprende quanto sia effettivo il pericolo al quale è sovraesposta quando è troppo tardi per correre ai ripari.