Ogni momento storico ha le sue tendenze. Sotto ogni aspetto.
“La moda” non la fanno solo le acconciature e gli outfit composti dai capi all’ultimo grido, ma anche e soprattutto gli stereotipi, i tormentoni, i fenomeni virali, “i nuovi mostri”. Da quelli innocui, seppur malsani, come i tronisti o i concorrenti dei reality show, a quelli decisamente distruttivi: i modelli estrapolati da “Gomorra”.
Li chiamano “baby-boss”, in realtà sono solo la versione 2.0 dell’ormai superato ed obsoleto modello camorristico: giovani pronti a tutto pur di emergere, una costante tutt’altro che inedita per le reclute dei clan, ma, la differenza sostanziale la fa la totale mancanza di rispetto, unitamente alla follia, cinica ed anaffettiva, probabilmente introdotta dalla letale aggiunta di acidi, sostanze chimiche e perfino di scarto, nella composizione delle droghe più in voga tra i giovani.
Se è vero che, una parte dei nuovi interpreti della camorra, sfida il passato sotto ogni aspetto, dichiarando guerra ai vecchi capi, – vedi Walter Mallo – provando di fatto a conquistare lo scettro del potere criminale, dall’altra si tratta solo di una versione più “colorita” ed irriverente dei soldati del clan alle direttive di boss detenuti in carcere e, pertanto, apparentemente al timone dell’organizzazione.
Per quanto le suggestioni che le suddette scorribande possano evocare siano forti, plurime e indiscutibili, chi ha il compito di fare informazione, non può lasciarsi contagiare dalla “Gomorra-mania” proponendo una versione romanzata della realtà.
L’opinione pubblica deve imparare a sviluppare un forte senso critico verso quello che vede ed è proprio uno dei tanti ragazzi che bazzica “nel sistema” a spiegare perché: “la chiacchiera come ce la stiamo facendo io e te, non è rischiosa, perché non ci sono le telecamere e questo mi fa sentire sicuro che nessuno può riconoscermi e se dovessi avere “guai”, so che l’unica persona che ha potuto inguaiarmi sei tu… Non esistono affiliati o ragazzi che lavorano per la camorra talmente scemi da mettersi davanti a una telecamera a raccontare i fatti loro o peggio ancora a fare la “spiata” sull’organizzazione del sistema. È un fatto talmente logico che mi sento scemo a doverlo precisare. Il passamontagna, la voce modificata al computer… sono tutte stupidaggini, perché se uno vuole, capisce chi sei. Soprattutto chi sta a capo dell’organizzazione, vuoi che non riconosce un suo soldato? E si sa che queste cose non fanno piacere… “la pubblicità” non fa mai piacere. Perciò mi arrabbio quando vedo quei servizi in tv dove intervistano quelli che chiamano “baby-boss”: prima perchè se sei un boss e tieni le palle, l’intervista la fai senza nasconderti, ma, soprattutto, boss di che, se non comandano niente e nessuno?”
Allora, qual è secondo te la definizione più giusta da attribuire a questi ragazzi?
“Camorristi moderni. È cambiato il modo di fare la camorra e stanno cambiando pure i camorristi, è normale. Non lo so com’era prima, però sento sempre dire “ai grandi”: “Wuà, quando ci stava questo come stavamo bene”… “Quando ci stava quest’altro guadagnavamo un sacco di soldi”. Anche se io penso che non è cambiato niente: le tarantelle sono sempre le stesse, come si moriva prima, si muore pure ora.”
E quindi perché tanti ragazzi scelgono di servire il sistema?
“Perché è la strada più facile per guadagnare soldi senza lavorare. Vi siete mai accorti di quanti ragazzi stanno “buttati” fuori ai bar dalla mattina alla sera senza fare niente? E se uno viene da te mentre stai senza fare niente e ti dice: “ti pago per stare senza fare niente” a te conviene o no? Tanto, se non lo fai tu, lo fa un altro. A quel punto è meglio che quei soldi te li abbuschi tu. O fai il palo o la sentinella o mantieni la piazza di spaccio: se ci pensi non è un lavoro faticoso, ma alla fine della settimana in tasca tieni i soldi che se ti spezzi la schiena a fare il muratore, forse vedi dopo un mese. Ti puoi togliere tutti gli sfizi e ti puoi comprare quello che vuoi. E non ti sei ucciso di fatica. Ai rischi non ci pensi. Capisci che puoi morire quando ti senti arrivare le botte addosso e pensi che puoi finire in galera quando ti mettono le manette. Fino a quel momento, la vedi come una cosa che può succedere solo agli altri, perché tu ti senti più forte. Tutti quanti lo sappiamo che vivendo qua rischiamo di ammalarci di tumore, ma non ci pensiamo: è la stessa cosa.”
Quindi, la camorra è un po’ come se fosse un tumore che avvelena le vite dei giovani?
“Questo lo dite e lo pensate voi che avete studiato e che se si rompe il bagno a casa vostra, chiamate l’idraulico e ve lo fate aggiustare, ma per chi sceglie questa vita, la camorra non è una condanna né una cosa brutta. È un lavoro, è quello che ti da un motivo per vivere e la vita te la migliora anche un po’, perché invece di fare il morto di fame, puoi vivere da uomo rispettato e rispettabile. Tutte quelle belle parole che dite voi, non cambiano il mondo. Venite a vivere per una settimana nei posti in cui nasce e cresce un camorrista, è l’unico modo che avete per capire e per imparare a ragionare con la testa di un camorrista. Se non hai niente, niente hai da perdere… la vita? Morire “da eroe” è il più bel ricordo che puoi lasciare. Potrei fare i nomi di tantissimi boss morti giovani per i quali la gente prega ancora.. ma un vecchio che muore a 80, 90 anni e che non tiene nessuno che gli porta un fiore sulla tomba, chi se lo piange?”