Quello riportato nel titolo, non è uno scivolone grammaticale rubato da una di quelle pagine Facebook che propina satira a base di errori e storture della lingua italiana.
È una frase che spesso, in un passato non troppo lontano, ho sentito pronunciare ad una donna, una Dell tante nate e cresciute nella realtà delle case popolari della periferia est di Napoli ed è lì che tuttora vive e cresce i suoi figli, nel rigoroso e religioso rispetto delle regole che vigono in quei contesti e che fin dai primi vagiti vengono impartite.
L’ignoranza: la chiave di tutto, il vero male da curare, perché alla base di tutto.
Rendere un individuo incolto e non allenarne la mente al ragionamento, non solo permette al “sistema” di “forgiarlo” senza problemi a immagine e somiglianza di quel credo, ma gli impedisce di sviluppare lo spirito critico ed aprire la mente per addentrarsi alla ricerca di nuove scoperte per giungere a conoscere tutto quello che viene percepito come “diverso”.
Nei contesti in cui dilaga la camorra, non esistono altri metri valutativi, non si conoscono termini di giudizio o di paragone diversi da quelli impartiti da rispetto, omertà, fedeltà, onore: esistono solo il bianco e il nero, non c’è posto per le sfumature.
Iniettare in quelle acerbe vite il virus dell’ignoranza è un’operazione che avviene in maniera spontanea, naturale, senza forzare neanche troppo le circostanze: non è necessario “imporre” l’assenteismo scolastico, i bambini sono geneticamente orientati verso questo genere di deleterio ozio e le madri, molto spesso, fanno poco o nulla per modificare quello stato di cose. Le più audaci, impongono almeno di finire la scuola dell’obbligo, ma a poco serve. Quelle larve abuliche di nozioni, non assimilano contenuti, soprattutto perché è il gruppo dei pari a giocare un ruolo determinante nella conformazione dell’essere umano, nel passaggio da bambino ad adolescente, in particolar modo.
E se quel gruppo di coetanei deride e schernisce la pratica dei compiti scolastici, sbeffeggiandola finanche con gesta da bulli, il risultato finale è ben deducibile: è necessaria una ferrea e motivata forza di volontà per nutrirsi di cultura, in certi contesti.
Abbracciare l’ignoranza, in maniera più o meno consapevole, rappresenta anche una scelta di comodo per uniformarsi al contesto senza vedersi affrancare la pericolosa etichetta del “diverso”, dello “strano”. Un’associazione pericolosa che, in una realtà in cui nulla è facile, neanche concedersi una tranquilla partita di pallone con gli amici, può rendere infernale la vita di un ragazzino.
Erroneamente, pensiamo che la mancanza di un’adeguata preparazione culturale, rappresenti un “fattore innocuo” e, molto spesso, come detto, diventa perfino oggetto di pratiche di scherno e derisione da parte di chi sa quando appioppare la “h” alla “o” e quando, invece, non è assolutamente richiesto. Il risultato finale è impensabile per la maggior parte della società civili: ragazzi che fanno fatica a leggere e ancor più ad impugnare una penna per scrivere, senza il supporto della tastiera del cellulare.
Proprio perché la mancanza di cultura e dell’educazione al rispetto delle regole che veicolano il quieto vivere nell’ambito di un società che si possa definire civile, contribuiscono a sviluppare in un individuo un elevato ed articolato tasso d’ignoranza, l’unica forma di replica che qui ragazzi sono in grado di applicare è la violenza: l’aggressività, il più delle volte, dapprima verbale e poi fisica, perché non si posseggono altri mezzi né strumenti per imbastire un confronto.
Una reazione di rabbia, indotta dalla più o meno lucida presa di coscienza del peso sortito dall’assenza di quel tassello mancante che si chiama “cultura”, rivolta per lo più verso quello che non si ha e non si è: la violenza diventa, così, l’unica risposta conosciuta da applicare a qualsiasi genere di “problema”.
Non a caso, la camorra minaccia, denigra e sbeffeggia il lavoro dei giornalisti: l’informazione è verità, è “uscire allo scoperto”, è prendere per mano la mente e guidarla verso il ragionamento e questo per i clan rappresenta un pericolo più temibile di un agguato.
Il conflitto a fuoco genera morte, ma parla la stessa lingua della camorra e, in quanto tale, è sempre tollerato ed accettato. Anzi, rappresenta l’alibi per eccellenza al quale aggrappare sentimenti deleteri, come: avversione, odio, rancore, sporcando l’innocenza degli occhi degli infanti con le favole della malavita che forzano quelle anime per imprimere una percezione fortemente distorta della vita, del mondo e persino della morte.
La penna, invece, viene percepita come un’arma devastante, peggio di un bomba pronta ad esplodere rischiando di mandare in frantumi quello scricchiolante e decrepito castello di feccia e menzogne.
L’aspetto più assurdo della vicenda, sta nel fatto che un ragazzo può leggere un libro, un articolo di giornale e condividere i concetti e i pensieri appresi, trovarli perfino interessanti, ma difficilmente potrà esternare la sua approvazione a voce alta.
Se trova il coraggio di farlo, però, avrà compiuto il primo grande passo per riappropriarsi della sua vita.
Erroneamente crediamo che “gli orrori grammaticali” nei quali ci imbattiamo da quando il modo di comunicare è sempre più condizionato dal 2.0, siano falsate interpretazioni della nostra lingua.
Invece, quella fetta di popolo sprovvista di cultura, ha ideato ed affinato un linguaggio tutto suo, dove la “X”, le abbreviazioni, le parole spezzate o sostituite dalle emoticon, rappresentano l’escamotage più sicuro per ottenere il miglior risultato con il minimo sforzo e per farsi capire da chi vive quello stesso inconsapevole disagio dettato dal non saper scrivere né parlare un italiano fluente.
Il loro è un mondo a parte, dove regnano regole, codici, comportamenti e perfino un linguaggio, diversi da quelli che animano il nostro.
Ogni volta che, in qualsiasi modo, questi due mondi che vivono parallelamente intrecciati, si scontrano, il risultato finale è sempre e solo uno: la devastazione.
Loro la chiamano “ignorantità”, noi la definiamo ignoranza, cambia la forma, ma non la realtà dei fatti: è quello il vero male da estirpare.