Lo scorso 2 ottobre, la ventottenne di Torre del Greco Francesca Gerato, ostetrica in servizio ad Ancona, ha dato alla luce la sua prima bambina, Ginevra. A rendere ancor più speciale l’evento è stata una scelta tanto ponderata quanto voluta da Francesca e dal suo compagno, Antonio Balzano. Ginevra, infatti, non è nata in ospedale, bensì al civico 17 di via Carbonillo, in casa. La giovane è stata accompagnata lungo tutta la gravidanza dall’assistenza di due ostetriche Alessandra Dell’Orto ed Emanuela Errico, specializzata proprio nei parti casalinghi.
“Ho scelto di partorire in casa – racconta Francesca – per due motivi ben precisi. Il primo è perché volevo che la naturalità del parto fosse rispettata nella sua totalità. Un aspetto, questo, che talvolta in ospedale viene sottovalutato, spesso abbreviando i tempi, con metodiche non sempre necessarie. L’altro motivo è che abbiamo voluto applicare la tecnica del lothus birth, cosa che in ospedale non sarebbe stata possibile”.
La piccola Ginevra, infatti, non ha subito il taglio del cordone ombelicale, che ha continuato a legarla alla placenta, fino al distacco avvenuto naturalmente 4 giorni dopo la nascita. La tecnica, ancora poco conosciuta in Italia, sebbene venga applicata da quarant’anni in Australia e negli States, assicura che le sostanze nutritive e gli anticorpi ancora presenti nella placenta dopo il parto, giungano interamente al bambino.
“La tecnica è definita anche nascita integrale – continua Francesca – perché non tagliando il cordone ombelicale troppo presto, il sistema chiuso di scambio nutritivo tra placenta e bambino non viene interrotto. Nel nostro paese c’è molta diffidenza nei confronti del “lothus birth”, anche perché manca l’informazione, al riguardo. La pratica non presenta rischi, anzi. Il taglio del cordone è traumatico per il bambino, oltre che doloroso. Continuare ad avere un contatto con la placenta, invece, tranquillizza molto il neonato, e arriva ad essere fondamentale per il primo imprinting madre-padre-bambino, soprattutto se il parto avviene in casa. La placenta è stata semplicemente sciacquata e trattata con del sale grosso integrale, poi è stata avvolta in tessuti naturali, come un asciugamano di lino, perché è fondamentale evitare il contatto con l’aria e tessuti non traspiranti, come la plastica. Ginevra è stata tranquillissima per i primi giorni, ma quando c’è stato il distacco del cordone, ha pianto tutta la notte”.
Se è vero che il parto in casa allevia molto lo stress della madre e il contatto continuo con la placenta quello del bambino, è vero anche che non tutte le donne possono applicare queste tecniche. “Sono stata fortunata, perché la mia gravidanza è stata totalmente fisiologica – spiega Francesca – e non ho avuto alcun tipo di problema. Lungo tutto il mio percorso sono stata seguita dalle mie ostetriche, e ho effettuato tutti i controlli medici indicati dal Sistema Sanitario Nazionale, ovvero un ecografia per ogni trimestre e gli esami di screening per escludere le patologie più ingenti. Purtroppo la figura stessa dell’ostetrica viene sottovalutata per un problema di mancata informazione. Io stessa sono ostetrica, quindi so che la nostra formazione professionale ci permette di seguire tutti i passi della gravidanze e di assicurare il benessere sia della puerpera che del neonato. Addirittura sono previste visite delle ostetriche anche dopo la nascita, alla prima, alla quarta e alla quindicesima giornata, e loro sono sempre in due, per assicurare la massima efficienza”.
Ma come si è svolto il parto vero e proprio?
“Le colleghe hanno assicurato tutta l’attrezzatura necessaria, dalla vasca dove mi sono immersa durante il travaglio, alla bilancia per pesare la bambina, passando per gli accessori atti a controllare tutti i parametri utili, come il battito cardiaco. I vantaggi del parto in casa sono innumerevoli, ed evita ulteriori fattori di stress emotivo e fisico, che invece si possono accumulare durante il parto ospedaliero. Sei con chi vuoi essere, ad esempio. Io ho voluto affianco solo il mio compagno, ma avrei potuto chiedere la presenza di qualche altro familiare, se avessi voluto. Tutto l’iter è stato seguito dalle mie colleghe ostetriche, mentre il pediatra è subentrato solo in un secondo momento, per controllare che Ginevra stesse bene.”
Francesca con il suo racconto emozionato, tocca anche un’altra tematica, di cui ultimamente si sono riempiti i giornali, quello della violenza ostetrica. “Lo dico come donna e come professionista – confida – la violenza ostetrica esiste, ci sono veri e propri maltrattamenti emotivi e fisici, che lasciano delle ferite inguaribili. Con le mie ostetriche ho seguito un corso di preparazione al parto, dove ho incontrato donne che volevano condividere la mia stessa esperienza. Nessuna di loro era al primo parto, bensì venivano tutte da esperienze ospedaliere terrificanti. Il parto è un momento in cui si è particolarmente vulnerabili, da un punto di vista emotivo, ma anche per una questione ormonale. E spesso questa vulnerabilità non viene rispettata, così come non viene rispettata la naturalità del parto. Si pensi solo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che circa il 17% dei parti che avvengono in un anno, richiedono intervento chirurgico e quindi il così detto parto cesareo. In Italia il 99% dei parti è cesareo”.
“Purtroppo bisogna sottolineare quello che è un altro problema in Italia – interviene Antonio, compagno di Francesca e neo papà – la cosiddetta medicina preventiva. Se qualcosa va male, in questi delicatissimi momenti, il medico risponde personalmente e penalmente, per cui noi non ce la sentiamo di puntare il dito contro chi fa il proprio lavoro, e applica delle precise direttive ministeriali, anche quando non sono strettamente necessarie. Noi siamo stati estremamente fortunati, perché non c’è stato bisogno di alcun intervento, e devo dire che in un primo momento non ero assolutamente d’accordo con il parto in casa. L’ho rispettata perché credo sinceramente che la scelta spetti alla donna, e mi sono fidato della mia compagna, come donna e come professionista. Non nego, però, che è stato difficile accettarlo, fondamentalmente per un retaggio culturale, in ospedale mi sarei sentito più sicuro, e più tranquillo. Volevo che mia figlia nascesse in sicurezza, e lei mi ha dimostrato anche con evidenze scientifiche che era possibile. Col senno di poi, ho vissuto un’esperienza indimenticabile, ho assistito al parto, e ho travagliato con lei. E in quel momento, ho pensato di non farcela, sebbene sapessi che il mio ruolo era fondamentale. Devo ringraziare le ostetriche, che oltre a controllare il parto, hanno saputo gestire anche le mie ansie. Quest’esperienza mi ha profondamente segnato, è stato bellissimo il contatto immediato che abbiamo avuto con Ginevra, cosa che in ospedale sarebbe sovvenuto solo in un secondo momento.”
Francesca ci saluta con un ultimo consiglio per le donne: “Quando va tutto bene, ci sono altri modi ed altre figure professionali per affrontare la gravidanza e il parto, che può escludere la via ospedaliera. Il grande problema è una questione culturale e basterebbe informarsi. Mi rendo conto che le donne hanno dimenticato che non abbiamo bisogno d’aiuto per partorire, in quanto il nostro corpo è fatto a posta. Questa esperienza mi ha dimostrato quanta forza avessi, senza che me ne rendessi conto. E molto è stato fatto anche dall’ambiente familiare ed intimo. ”
È forse il parto in casa l’unico modo per allontanare l’ombra nera della violenza ostetrica?
Ai posteri l’ardua sentenza.