Al padre della teoria della Nonviolenza è dedicata, nella ricorrenza della data della sua nascita, il 2 ottobre, la Giornata Internazionale per la Nonviolenza, fissata per la prima volta dall’Assembla Generale dell’Onu nel giugno del 2007. Una giornata di commemorazione, certo, ma anche una occasione importante per spargere il messaggio di azione nonviolenta nel pubblico, che secondo l’organismo internazionale ha le caratteristiche di rilevanza universale, per assicurare una cultura di pace, tolleranza, comprensione reciproca.
Per Nonviolenza, Mohandas Karamchand Gandhi intendeva un vero e proprio metodo di lotta politica, che ha per mezzo principale il rifiuto di atti offensivi, di qualunque genere, ai danni dei rappresentanti o sostenitori del potere opposto. Le “armi” in questo caso, sono quindi la non collaborazione, il boicottaggio, le azioni passive dimostrative. Il giovane avvocato indiano, dopo gli studi londinesi, sviluppò questo suo pensiero durante un periodo di lavoro in Sudafrica, nel 1893. Ma una volta rientrato in patria, lo approfondì per applicarlo ad una battaglia a favore dei diritti politici, sociali ed economici della nazione e dei suoi connazionali, al tempo della dominazione inglese.
Alla base della teoria, un concetto filosofico, l’Ahimsa (nonviolenza, appunto), contenuto nel sacro testo sanscrito del Bhagavad Gita. Al centro, il concetto di Satyagraha, (in sanscrito e in Hindi: “trattenere la verità”), o di resistenza non violenta al male, persino nella vita quotidiana, in una alternativa politica ed economica: per l’India di Gandhi questo equivaleva non solo alla “cacciata” degli inglesi, ma alla dignità della casta degli intoccabili e una solida economia rurale. Più volte arrestato, più volte fautore di drastici scioperi della fame, morì per mano non inglese ma di un fanatico induista, nel 1948. Una fine violenta che condivide con l’altro grande attore della Storia a giocare un ruolo fondamentale nella battaglia per i diritti civili contro la segregazione razziale, Martin Luther King.