Innumerevoli i retroscena legati all’omicidio di Guglielmo Esposito, gregario del clan Sarno, negli anni in cui l’organizzazione deteneva lo scettro del potere criminale dell’hinterland vesuviano.
Un omicidio avvenuto il 9 settembre del 1996 e sul quale gli agenti della squadra mobile della Questura di Napoli coordinati dai magistrati della Dda, sono riusciti a far luce dopo 20 anni, grazie alle testimonianze rese dai pentiti del clan Sarno, diventati collaboratori di giustizia.
Dietro quell’omicidio di celano una serie di scenari che lasciano intravedere diverse sfaccettature della camorra e che tanto raccontano della cervellotica e cinica forma mentis alla base del credo criminale.
I collaboratori di giustizia puntano il dito contro due persone, entrambe già detenute in carcere: il capoclan dei Sarno e Adriano Sannino, indicato come l’esecutore materiale dell’omicidio.
Il suo clan lo riteneva inaffidabile e confidente delle forze d’ordine: per questo fu ucciso Guglielmo Esposito. A decretarne l’assassinio furono i vertici del clan dei Sarno che chiesero di risolvere la questione al boss alleato Ciro Formicola, capo dell’omonima organizzazione camorristica attiva, invece, nella zona di San Giovanni a Teduccio.
Fu proprio Formicola ad individuare in Adriano Sannino uno dei soggetti che composero il commando che mise a segno l’omicidio.
Ciro Formicola è il nonno di Gaetano Formicola, il 19enne che con il 20enne Giovanni Tabasco è accusato di avere assassinato un suo amico, Vincenzo Amendola, 18 anni, ucciso con due colpi di pistola al viso la notte tra il 4 e 5 febbraio 2016 e poi sotterrato in un terreno del quartiere San Giovanni a Teduccio, in una fossa che la stessa vittima fu costretta a scavare prima di morire.
Un legame di parentela che sottolinea come la predisposizione a delinquere sia, molto spesso, un “fattore genetico” che si tramanda di generazione in generazione.