Un massacro infinito e crudele quello subito da Luca Varani, il 27enne ucciso il 4 marzo scorso in una abitazione al Collatino, a Roma, morto dopo esser stato colpito per cento volte con un martello e con almeno due coltelli. L’agonia del giovane ragazzo è durata circa due ore.
Un lunghissimo lasso di tempo, durante il quale Manuel Foffo e Marco Prato, i due accusati dalla Procura di omicidio volontario, si sono accaniti sul suo corpo inferendo con numerose martellate al capo e alla bocca. Il resto dei colpi avrebbero raggiunto il ragazzo sulle braccia e al torace. Inoltre la perizia ha accertato che circa 30 ferite, tutte con arma da taglio, sarebbero state inferte con il solo scopo di provocare dolore.
Tutti gli elementi fin’ora acquisiti portano gli inquirenti a pensare che non sia stata inferta nessuna ferita dopo la morte, e sempre secondo i periti, non c’è stata nessuna attività sessuale con la vittima durante il festino culminato con la morte del giovane. Varani è morto per dissanguamento.
La vittima ha comunque provato a disarmare i suoi assassini. A stabilirlo sono le sue impronte insanguinate sulle impugnature del coltello e del martello usati per colpirlo più volte fino a portalo alla morte e sul cavo elettrico con cui Marco Prato e Manuel Foffo cercarono in un primo momento di strangolarlo. Dall’esame effettuato infatti su due coltelli e su un martello, la perizia avrebbe concluso per un analogo contributo nell’evento omicidiario dei due indagati.
«Seviziato e torturato» è il responso finale dell’autopsia consegnata al pm Francesco Scavo a oltre sei mesi dal delitto del Collatino. Un risultato che però dal punto di vista processuale andrà incrociato con quello degli esami tossicologico, genetico, delle urine e del sangue. Nei prossimi giorni la scientifica del Ris dei carabinieri tornerà sul luogo dell’omicidio, un appartamento in via Igino Giordani per un esame con il luminal.