Cioè 260 al minuto.
Cioè tra i 4 e i 5 messaggi al secondo.
Queste cifre danno l’idea della dimensione con la quale i social network possono amplificare un qualsiasi contenuto messo sulla rete.
Nel caso specifico un video in cui una studentessa di 14 anni, viene messa alla berlina mentre è in uno stato di catalessi da alcuni suoi coetanei che la molestano.
Il 15 dicembre 2012 quel video viene messo in rete, “postato” come si dice. E precipita la vita di Caterina, questo il nome della vittima, in un vuoto prima emotivo e poi anche fisico. Perché Caterina il 5 gennaio 2013 si lancia in quel vuoto, mettendo fine alla sua vita.
“Mia figlia aveva una forte personalità, aveva già respinto alcuni di quei ragazzi. L’invidia, la gelosia, il maschilismo di questi ragazzi che lei aveva mollato hanno creato una coalizione micidiale per isolare Carolina dal consesso in cui viveva”. Paolo Picchio è un uomo reso lucido dal dolore. Oggi combatte una battaglia di civiltà perché nessuno abbia a patire ciò che ha patito la sua bambina. Il suo attivismo è al centro di una serie di progetti rivolti ai giovanissimi: in primis un centro nazionale che si occupi specificamente di cyberbullismo con referenti su tutto il territorio, regione per regione.
“La cosa più grave è che questi ragazzi non si rendono ancora conto di cosa hanno fatto. Hanno approfittato di una loro coetanea in trance, probabilmente le hanno dato delle sostanze che l’hanno ridotta in quello stato. L’hanno messa alla berlina, quei commenti sono pieni di insulti infamanti. ‘Che schifo, stai vomitando, ti fai palpeggiare da quelli’, cose di questo genere”.
Sommersa da quest’onda nera, Caterina ha trovato la forza di scrivere una lettera dettagliata su tutto ciò che le era accaduto, facendo nomi e cognomi dei suoi aguzzini. Dolendosi della loro totale inconsapevolezza circa la violenza inflittale. I ragazzi saranno i genitori del futuro.
Se coloro che hanno fatto del male a Carolina non passeranno per l’espiazione di una colpa, che genitori saranno?
Hanno commesso un reato gravissimo, concorso in pubblicazione di materiale pedopornografico. E nemmeno i loro genitori si sono resi conto di ciò che è successo, nessuno ha chiesto nemmeno scusa.
“Le parole fanno più male delle botte… cavolo, se fanno male!”: queste parole dell’ultima lettera di Carolina Picchio, suicida a 14 anni. Uccisa da chi le ha tolto la dignità con lo scopo di renderla isolata dal contesto nel quale viveva. Parole che suonano quasi come un testamento morale. E che oggi, in virtù delle ultime sconvolgenti vicende, assumo un tono ancor più severo e un valore assai più rilevante.