Enzo Tortora era uno dei volti televisivi più popolari degli anni ’80. Era un presentatore televisivo molto noto, molto quotato, un conduttore da 28 milioni di telespettatori. Incarnava un certo perbenismo borghese e il suo modo di fare televisione, non era a tutti gradito. Finì, all’improvviso, in un tritacarne allestito dalla procura di Napoli sulla base di un manipolo di “pentiti” che prese ad accusarlo di reati ignobili: traffico di droga ed associazione mafiosa. Con lui – prima che quell’operazione si sgonfiasse come un palloncino – finiranno risucchiate altre 855 persone. Il suo arresto fu un evento mediatico.
Prima di trasferirlo in carcere i carabinieri lo ammanettano come il peggiore dei criminali e gli allestiscono una sorta di passerella davanti a fotografi ed operatori televisivi. L’Italia si spacca letteralmente in due tra innocentisti e colpevolisti. E la stampa riesce a dare il peggio di sé. È l’incipit dell’estate del 1983. Comincia il “caso di Enzo Tortora” che scriverà una delle pagine meno edificanti della storia italiana.
Il presentatore televisivo viene tenuto in carcere per sette mesi, ottenendo appena tre colloqui con i suoi inquirenti. Gli indizi che lo accusavano sono debolissimi, praticamente inesistenti: oltre alle parole dei “pentiti”, soltanto un’agendina trovata nell’abitazione di un camorrista. Un nome scritto a penna e un numero telefonico. Solo dopo lungo tempo si saprà che quel nome non era “Tortora”, ma “Tortosa” e che il recapito del telefono non era quello del presentatore. Nel giugno del 1984 Enzo Tortora – nel frattempo divenuto il simbolo delle tragedie della giustizia italiana – viene eletto deputato europeo nelle liste dei radicali che ne sosterranno sempre le battaglie libertarie. Il 17 settembre 1985, ad oltre due anni dall’arresto, Tortora viene condannato a dieci anni di galera. Nonostante l’evidenza, le accuse degli 11 “pentiti” hanno retto al dibattimento. Con un gesto nobile, l’ormai ex divo della TV – protetto dall’immunità parlamentare – si consegna. Resterà agli arresti domiciliari. Il 15 settembre 1986, Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla corte d’Appello di Napoli. Il 20 febbraio 1987 torna sugli schermi televisivi. Il 17 marzo 1988 Tortora viene definitivamente assolto dalla Cassazione. Il 18 maggio 1988, stroncato da un tumore, Enzo Tortora muore.
Resterà per sempre il simbolo di una giustizia ingiusta. Che di macroscopici errori, dopo di lui ne commetterà ancora molti.
Enzo Tortora. Ovvero, l’uomo che visse tre volte. E per tre volte morì senza riuscire a pareggiare i conti che aveva in sospeso con il destino.
Un tragico eroe dei nostri tempi. E in quanto eroe, un uomo pieno di contraddizioni e perennemente in bilico tra due personalità contrastanti. Un uomo segnato. Da sempre sulla barricata sbagliata. Oltretutto nel ruolo più scomodo: prima carnefice, poi vittima. E, infine, simbolo dell’umana ingiustizia. Un’esistenza tutta in salita qu ella di Tortora. Cinquantanove anni spesi pericolosamente in attesa dell’ultimo drammatico match. Una vicenda surreale, la sua.
Talmente assurda da sembrare un copione cinematografico reinventato.