È cambiata la forma, ma non la sostanza: ad Acciaroli si spaccia. Ancora. A dispetto di quanto accaduto nel 2009, nel corso dell’estate che il 5 settembre dello stesso anno, abbiamo scoperto essere l’ultima di Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, raggiunto da sette colpi di pistola, mentre rincasava a bordo della sua auto.
Quella sera, Vassallo imboccò una strada secondaria per raggiungere la sua abitazione, una strada diversa da quella che era solito percorrere, probabilmente aveva fiutato il pericolo e stava cambiando abitudini per non consegnare facili riferimenti spazio-temporali ai suoi “nemici”.
Ma non è bastato.
Quell’estate, trascorsa ad osteggiare a muso duro gli spacciatori che smerciavano droga, indisturbati e impuniti tra i tavolini della movida acciarolese, è terminata nel peggiore dei modi auspicabili per il sindaco-pescatore che, quella sera di sei anni fa, ha incontrato lungo la strada che avrebbe dovuto condurlo a casa, qualcuno che conosceva, ma che non ha riconosciuto come il suo “messaggero di morte”: questo suggeriscono il finestrino abbassato e il freno a mano tirato.
Un omicidio da sempre avvolto nel mistero e che attende ancora di vedersi affrancare un movente e un esecutore.
Un omicidio che macchia le coscienze di chi ha lasciato che le richieste inoltrate con insistenza da parte di Vassallo nel corso dell’intera estate, per rafforzare la presenza di pattuglie e uomini in divisa nel comune cilentano preso di mira da parte dei signori della droga, restassero un urlo strozzato in gola, annegato nel colpevole silenzio, figlio dell’isolamento e della solitudine.
Intanto, eccezion fatta per la prima estate post mortem di Vassallo, dove tra i vicoli dell’Acciaroli by night regnava un severo clima di intransigente rigore, di anno in anno, il business della droga ha seguitato a tenere banco, senza avvalersi nemmeno di escamotage particolarmente elaborati da stanare.
Acciaroli, ormai, agli occhi dei turisti che affollano le coste cilentane, risuona come “il paese dei balocchi”: mare pulito, divertimento garantito.
Centinaia di ragazzine seminude battono le spiagge dell’intera costa per tessere le lodi di taluni locali, divenuti ben presto autentiche icone dell’Acciaroli by night, semplicemente calcando l’onda dell’apparire a tutti i costi, sopprimendo l’essere per giungere ad uniformarsi a quel gregge di ciuffi fonati e incamiciati e tacchi a spillo sempre più vertiginosi. Una tribù dell’effimero che suscita nei giovanissimi il fascino e il desiderio di sentirsi parte di quel mondo “perfetto”. Un’acuta macchina da soldi, tra le cui pieghe, il business della droga s’incastona alla perfezione. Tra quegli schiamazzi da piano bar, lo spaccio, quest’estate si è insinuato con una modalità molto prudente. Un chiaro segnale di consapevolezza da parte di chi sa di essere nell’occhio del ciclone e non vuole finire risucchiato in quel vortice.
Ragion per cui, la droga, quest’estate si vendeva solo agli avventori “fidati”, ai visi conosciuti, quale garanzia imprescindibile del fatto che salvaguardare quel business è nell’interesse di ambo le parti. Un “benefit” estendibile solo “agli amici di”, in virtù dello stesso principio, per evitare rogne e incidenti di percorso facilmente raggirabili.
Una situazione inedita e ben diversa, invece, si è insediata durante le ore notturne dei giorni più caldi.
Nel cuore di ferragosto, coppie di fidanzati, apparentemente “innocue” e che a tutti gli effetti potevano dare l’impressione di trovarsi lì semplicemente per divertirsi, in realtà, si mimetizzavano tra gli avventori per spacciare droga.
La tecnica era assai acuta: adescavano gruppi di giovani con domande banali, giusto per attaccare bottone, per entrare in confidenza e fiutare se potesse celarsi tra loro qualche potenziale acquirente. Impossibile per loro attecchire tra gli avventori dei locali già “coperti” da altri pusher, chi fa parte del “sistema” – organizzazione criminale – o ne abbraccia la mentalità, sa che quel genere di “sgarro” va evitato per quieto vivere e per “gli esperti in materia” non è difficile rilevare la presenza di una piazza di spaccio, seppur perfettamente amalgamata al contesto.
Così, pur di non rinunciare al business e non tramutare quei giorni investiti in Cilento in una “semplice” vacanza, al gruppo di finti avventori è bastato spostarsi tra i tavolini di altri locali che accoglievano balli e schiamazzi.
Clima più raccolto e caciara: le premesse ideali per lavorare indisturbati.
Un drink, un balletto, un sorriso e una battuta con le altre comitive e il gioco e fatto: “Simm’ gent’ malament’ ‘e Ponticelli”, ovvero, “siamo persone affiliate ai clan camorristici di Ponticelli”. Questo il biglietto da visita esibito dalle tre coppie. Asserivano di essere affiliati al clan D’Amico, il clan di Fraulella e della Passillona, un dettaglio esibito con vanto soprattutto dalle donne, forti dell’”eco mediatico” sortito proprio dal ruolo egemone in chiave camorristica ricoperto da Annunziata D’Amico e dalle altre donne del clan, capaci di consegnare armi ai loro stessi figli e tramutarli in baby-pusher già in tenera età. Non per necessità, ma per assecondare un orgoglioso e delirante atto di vanità.
Quelle donne napoletane non covano più il desiderio di maternità e di crearsi una famiglia, ma sognano di diventare come Scianel e Donna Imma Savastano.
È così il fare grottesco e l’ostentazione della “guapparia” danno luogo a condotte surreali. In realtà, gli inquirenti scopriranno che quelle sei persone non risultano vicine ad alcun clan e che solo uno dei tre uomini si è macchiato la fedina penale per reati contro il patrimonio e resistenza a pubblico ufficiale. Una testa calda, senza dubbio, ma che se si vede riporre un’arma tra le mani, inizia a tremare come una foglia, molto probabilmente.
“Emigrano” fuori dalle mura del quartiere per dare libero sfogo a quel desiderio di delinquere ostruito dai “pesci grossi”: l’astuzia di miscelarsi tra gli avventori e sussurrargli all’orecchio frasi ficcanti, per insinuare in loro il desiderio di sballarsi ulteriormente. Un rapido passamano di dosi e soldi. Talmente rapido che nessuno, nel bel mezzo delle distese scene da movida estiva, poteva accorgersene.
Vivere due giorni da “guappi”: questo il desiderio più edificante da realizzare per il gruppo partito da Ponticelli per “conquistare” la perla del Cilento.
Il messaggio che passa, agli occhi dei cultori del credo camorristico, è che ad Acciaroli tutto è lecito e che la legalità ha ceduto il passo alla criminalità. Questa convinzione trapela su più fronti, in termini di inciviltà e scarso o inesistente senso del decoro, da parte di “quei villeggianti” che si recano lì per spadroneggiare e non per rilassarsi.
Forse, quei sei, non sanno neanche chi è Angelo Vassallo. E non è una vergogna loro, ma di chi, nella terra di Angelo Vassallo, permette ancora allo spaccio di droga di esistere e persistere.