24 Agosto 2016: quasi 300 persone sono morte nel terremoto nel Centro Italia che ha distrutto comuni e intere famiglie. Una settimana dopo, Charlie Hebdo così le ricordava: “penne al pomodoro, penne gratinate e lasagne“. La vignetta satirica si era diffusa capillarmente in un attimo tra Facebook, Twitter e i desk delle redazioni giornalistiche e la ricetta, macabra e perfetta, per la bufera in tutti i media si è compiuta con successo.
Non finisce qui. Il 2 Settembre è stato pubblicato un altro disegno sulla pagina ufficiale Facebook, in cui un ferito sepolto dalle macerie dice “Non è Charlie Hebdo a costruire le vostre case, ma la mafia”. Non è nello stile della rivista fare un passo indietro, un’apologia degna di Socrate, ed è sempre pronta agli insulti e a scarabbocchi di contraccolpo che continuano ad accumularsi nel Web. Ma dovrebbe scusarsi, di cosa poi?
Sui social si cambia rotta: Je (ne) suis Charlie
La satira ammette qualsiasi reazione, chiave di lettura e contaminazione di generi. Il nome stesso, derivante dall’aggettivo latino satura, significa semplicemente pieno. Non importa che sia pieno di humour nero, ironia sulla classe politica o di buoni intenti, tutto è ammesso sia da parte dei creativi sia dai destinatari.
Era prevedibile e giusta la reazione di sgomento e rabbia del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, che ha detto “ben venga l’ironia, ma sulle disgrazie e sui morti non si fa satira”. Nessun primo cittadino riderebbe sulla rovina della sua stessa città.
Il presidente del Senato, Pietro Grasso si è assunto la “libertà di dire che fa schifo”, mentre il senatore Roberto Calderoli si è tenuto al passo coi tempi odierni; per lui ora “vale questo hashtag #jenesuispasCharlie“. Io non sono più Charlie. Tantissimi hanno adottato l’hashtag del politico della Lega e altrettanti hanno cancellato gli sbagli di una vita, quando erano tutti Charlie al momento dell’attentato del 7 Gennaio 2015. Era molto più facile stare dalla parte della rivista fintanto venivano calunniati mussulmani e premier esteri, ma adesso che gli italiani sono stati bersagliati dalla satira, questa non sembra poi così divertente.
Bisogna cercare allora un motivo per cui Charlie Hebdo dovrebbe scusarsi. I giornalisti hanno osato, è vero, ma il loro messaggio di denuncia è stato ignorato completamente: il terremoto catastrofico è diventato di fatto uno stereotipo alla stregua delle penne col sugo di pomodoro, come la pizza e la mafia. Guarda caso, proprio quella che avrebbe costruito abitazioni ed edifici pubblici restaurati da poco. Anche se le indagini sono ancora in corso e non è corretto fare supposizioni affrettate, lo scopo della prima vignetta -palesato nella seconda- era di suscitare rabbia. La rabbia degli italiani verso le cause dei crolli e dei disagi che potevano essere prevenuti, oltre alle future calamità che accadranno nel nostro territorio, quando si ripeteranno le ennesime formule mediatiche “mai più L’Aquila, mai più Reggio-Emilia, mai più Amatrice”.
La lezione di Voltaire, eppur non sua
“Non sono d’accordo con quel che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire“. Se il filosofo illuminista Voltaire fosse vivo in questi giorni, risponderebbe con questa massima in qualsiasi vicenda ove Charlie Hebdo sia coinvolto. Dalle illustrazioni di Maometto pubblicate nel 2006 (per l’Islam è vietato raffigurare il volto di Allah e del profeta) all’attentato nel 2015, prolugandosi fino a quest’episodio, che non è il primo né sarà l’ultimo. Peccato che l’autore del Candido non abbia mai detto nulla del genere, bensí la scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall nel testo “Gli Amici di Voltaire”. Nonostante l’imprecisione storica, la frase non perde il suo significato: la libertà di espressione non equivale al reciproco accordo in perfetta sintonia tra due o più persone. Per ipotesi, un mondo privo di disincronia, conflitti e polemiche non sarebbe un mondo umano. Anzi, è in occasioni come queste o quelle più gravi, ripensando alla raffica di fucilate che hanno spazzato via quasi mezza redazione di un giornale francese, che si avvertono i limiti della libertà di parola e al contempo la sua forza. Charlie Hebdo può non piacere ed essere criticato, ma a spada tratta va difeso il suo diritto di essere se stesso.