Sono iniziati a Rio De Janeiro, in Brasile, i Giochi della XXXI Olimpiade. Dal punto di vista sportivo, questi saranno ricordati, probabilmente, come i Giochi più competitivi dell’ultimo decennio. 11.360 atleti si sfideranno in 28 discipline, due in più rispetto alla scorsa edizione di Londra nel 2012. Sono state introdotte il rugby nella sua variante a 7 e il golf, che ritorna nella manifestazione a cinque cerchi dopo più di un secolo d’assenza.
Oltre all’ovvio tema sportivo, le Olimpiadi, in qualità di evento globale si portano dietro tanti spunti di riflessione, che non di rado cambiano al susseguirsi delle edizioni. Tutto questo perché la kermesse, ideata dal celebre barone De Coubertin, diventa specchio fedele degli avvenimenti nel mondo. Tristemente noti infatti sono gli avvenimenti di Berlino 36’, con i Giochi trasformati in propaganda dal regime nazista di Hitler o il doloroso “Massacro di Monaco” del 72’, con l’uccisione di 11 atleti israeliani nel villaggio olimpico da parte di un commando palestinese.
Rio 2016 è accompagnata da una parola che spicca più di tutte le altri. Paura. Paura del terrorismo, paura dei migranti, paura per una crisi economica che latita a vedere la fine. Generalmente l’antidoto designato della paura è il coraggio, la capacità di superare il timore e le preoccupazioni per affrontare contesti e situazioni al limite. I Giochi Olimpici lanciano attraverso lo sport un altro messaggio, quello della speranza. La speranza in un mondo più equo, un mondo più libero e più sicuro. Un mondo dove non aver paura di entrare in un aeroporto o in una sala da concerti nel cuore dell’Europa.
La kermesse a cinque cerchi, che tra l’altro rappresentano la fratellanza tra i popoli e l’universalità dello sport, ha lanciato messaggi incoraggianti anche per quanto riguarda la crisi dei migranti. Mentre soprattutto in Italia, anche grazie alle condizioni climatiche favorevoli, gli sbarchi non si fermano, alle Olimpiadi per la prima volta nella storia gareggerà il team degli “Atleti Olimpici Rifugiati” che il CIO ha riunito sotto la sua bandiera. Podisti, judoka e nuotatori, per un totale di 10 atleti, potranno partecipare ai Giochi anche se scappati dalle guerre che imperversano nei loro Paesi d’origine (in particolare Siria e Sudan del Sud) grazie ai Comitati Olimpici dei Paesi dove sono riconosciuti come rifugiati politici. Una splendida iniziativa da parte del comitato che organizza i Giochi, che vuole sensibilizzare e veicolare un messaggio di apertura e di solidarietà nei confronti dei tantissimi rifugiati che cercano asilo in Europa. La speranza dunque come strumento dello sport, da sempre fenomeno di aggregazione e straordinario veicolo globale di solidarietà e fratellanza, con l’augurio di veder sfilare il team anche tra 8 anni a Roma.