Il tema della sicurezza in relazione alla movida napoletana è tra i più caldi – non solo in estate – e da sempre al centro di accese e contrastanti polemiche.
Il mondo dei privè, delle bottiglie di superalcolici a prezzi esorbitanti, le gare a chi ordina più bottiglie, quale forma di ostentata dimostrazione di una smodata disponibilità economica, ragazze bellissime, bardate da abiti scintillanti e succinti, in bilico su tacchi a spillo sempre più vertiginosi, pronte a tutto per finire sedute sulle ginocchia degli avventori più facoltosi: scene di movida ordinaria che fanno il giro dei social attraverso una cascata di selfie e per questo, anche per questo, fanno gola a tanti ragazzi, soprattutto ai giovani baby-boss della camorra che attraverso l’ostentazione di una vita sfarzosa e condotta tra agio e lusso, fanno leva sul “sogno della bella vita” per tramutarlo in nell’inconsapevole incubo dell’affiliazione.
Frequentare i locali più quotati della Napoli by night “da protagonisti”, ovvero, assicurandosi il privè migliore e vedendosi consegnare il conto più salato a fine serata, equivale a sottolineare la proprie egemonia, suscitando invidia e rispettabilità nei “comuni avventori”, appagando, inoltre, l’esigenza di divertirsi comune a tutti i giovani, ma che troppo spesso nell’indole dei baby-boss, va a miscelarsi con aggressività e violenza, generando risse e perfino omicidi, per futili motivi.
Il proprietario di uno dei locali più gettonati della Napoli by night, ci ha scritto per avanzare la sua proposta per arginare il fenomeno della movida violenta. L’uomo racconta la sua autentica “ossessione” verso tutto quello che può essere riconducibile alla camorra e i numerosi sforzi compiuti negli anni per tenere lontano dalla sua pista da ballo i camorristi.
“Non è un discorso discriminatorio il mio, tutti i ragazzi sono uguali, ma quelli che scelgono di impugnare un’arma e seguire le regole della camorra, non possono e non devono immischiarsi tra i bravi ragazzi ed è un dovere di chi lavora nel mondo delle discoteche assicurarsi che questo non accada, per proteggere e tutelare i ragazzi perbene. Non prendiamoci in giro, noi proprietari dei locali, se vogliamo, possiamo realmente fare la selezione. Molti preferiscono rifugiarsi nell’alibi del “non sapevo chi fossero”, quando in realtà lo capisci subito con chi hai a che fare quando dei ragazzi giovani e dai modi irriverenti prenotano un tavolo per il quale sono disposti a pagare migliaia di euro senza battere ciglio. Io ho fatto una scelta ben precisa e tutte le volte che mi contattano, la mia risposta è chiara e diretta: “i camorristi nel mio locale non ce li voglio”. Certo, non sempre la controparte accetta di buon grado il rifiuto, ho vissuto episodi spiacevoli, ma, alla fine, non vedendosi trattare come ospiti graditi – cosa che invece accade in molti altri contesti – preferiscono onorare della loro presenza qualcuno meno “bastardo” di me. Anche ai Pr che lavorano per il mio locale ho sempre inculcato questo principio come prima regola alla quale ispirarsi e sanno bene che se hanno problemi a gestire questo genere di situazioni, non devono esitare a chiamarmi in causa.
Non è vero che senza i loro soldi non si guadagna, anzi, tenere pulita la clientela porta solo benefici all’economia del locale. E, soprattutto, mi chiedo: come fanno i miei colleghi ad intascare soldi che sanno essere sporchi di sangue, droga e attività illecite?
Certo non è facile intercettare tutti e sempre, per questo dico che la mia ormai è diventata una “missione” e non dormo la notte per trovare il modo per risolvere definitivamente la questione.”
È così che a quest’uomo che vive da protagonista da decenni la movida napoletana è venuta un’idea “estrema”: “credo che uno dei modi migliori per tenere sotto controllo la situazione e tutelare i cittadini sia istituire una sorta di “card identificativa”, una specie di “tessera del tifoso” della movida che ogni avventore ha l’obbligo di beggiare all’ingresso del locale. Su questa specie di “carta d’identità virtuale”, oltre alle generalità, dovrebbero figurare anche i precedenti penali, in modo che noi sappiamo in tempo reale chi sono le persone con le quali ci stiamo interfacciando e possiamo riservarci la possibilità di lasciarli fuori se il “curriculum” non ci piace, inoltre, laddove dovessero verificarsi risse ed episodi simili, sarebbe anche più facile risalire all’identità delle parti coinvolte.
Non è discriminazione, ma il legittimo desiderio di tutelarsi dalla violenza che questi criminali portano pure in contesti come le discoteche e i luoghi di ritrovo, dove ci si reca per divertirsi e quindi non c’è bisogno di portare pistole o coltelli. Inoltre, essendo nota la poca voglia di chi delinque di essere rintracciabile ed identificabile, di sicuro un tipo di regime simile basterebbe a fargli passare la voglia di frequentare i nostri locali. Dobbiamo capire che siamo nel bel mezzo di una delle guerre di camorra più spietate e sanguinarie della storia della nostra città e non c’è spazio per i perbenismi e i falsi moralismi: dobbiamo difenderci e correre ai ripari il prima possibile. Sono i camorristi che non devono finire in mezzo ai ragazzi perbene e non questi ultimi ad avere paura di uscire di casa.”