Intanto Enea verso la rocca ascese,
ove in alto sorgea di Febo il tempio,
e là dov’era la spelonca immane
dell’orrenda Sibilla, a cui fu dato
dal gran Delfo profeta animo e mente
d’aprir l’occulte e le future cose.
(Eneide, VI libro. Virgilio)
Così Virgilio nell’Eneide introduce la figura della Sibilla cumana che aiuterà Enea a comunicare col mondo degli Inferi. Il luogo in cui Enea si dirige per interpellare tale mistica creatura è l’Antro della Sibilla a Cuma, che si trova tra i comuni di Bacoli e Pozzuoli, nella zona vulcanica dei Campi Flegrei, non lontano dal lago d’Averno dove Virgilio colloca l’ingresso per il regno dell’Oltretomba, chiamato per l’appunto dagli antichi anche Averno.
La figura della Sibilla nasce in Grecia e si identifica come una sacerdotessa del dio Apollo e di Ecate, rispettivamente il dio del Sole e la dea della Luna nella cultura ellenica. Queste sacerdotesse erano delle giovani fanciulle dedite al culto della divinità, una sorta di “spose del dio” che dovevano preservare la propria verginità, in cambio le divinità concedevano loro il dono di predire oracoli sul futuro, attraverso un soffio che veniva trasfuso nel loro corpo che
induceva ad uno stato di furor (invasamento). Gli oracoli venivano poi trascritti in versi su foglie di palma che il vento proveniente dalle porte dell’antro mischiava facendoli sibilare. Le sacerdotesse avevano uno stile di vita molto misterioso e affascinante: esse vivevano in luoghi segreti, difficilmente accessibili, solitamente vicino a laghi e fiumi ritenuti sacri; si nutrivano di foglie di lauro, pianta sacra ad Apollo, e ricevevano il “soffio divino” tramite gas esalati dalle fenditure delle grotte in cui vivevano. Tra le Sibille la più importante era la Sibilla cumana, massima sacerdotessa del culto, presentata da Virgilio col nome di Deifobe e a cui è legata una particolare leggenda:
Apollo si innamorò della giovane fanciulla che era sua sacerdotessa e le domandò cosa desiderasse per potergliene far dono. La Sibilla richiese l’immortalità e le fu concessa, tuttavia ella dimenticò di chiedere anche la giovinezza. Apollo le propose in seguito anche
quest’ultima, ma in cambio la fanciulla si sarebbe dovuta concedere a lui. La virgo, preferendo mantenere inalterato il suo stato in onore del suo ruolo di sacerdotessa, rifiutò questa proposta. Il suo corpo subì dunque gli effetti del tempo, diventando via via sempre più consumato, fino a ridursi alla grandezza di una cicala, per poi disintegrarsi totalmente lasciando della fanciulla soltanto la voce.
Secondo un’altra leggenda trascritta da Ovidio nelle Metamorfosi, la Sibilla richiese, invece dell’immortalità, tanti anni di vita quanti erano i granelli che avrebbe stretto nel pugno di una mano.