Qualche giorno fa, una donna ha pubblicato la foto di una ragazza di etnia rom che lavava il suo bambino nella fontana a Capo Torre, a Torre del Greco, comune in provincia di Napoli.
In men che non si dica, la denuncia di un gesto “incivile” si è trasformata in una valanga di commenti razzisti rivolti ai rom e il post si è intriso del più becero odio razziale. I commenti andavano dall’augurare al bambino di affogare in quelle fontana (poi corretto nell’augurare alla madre di affogarci) al mandare al rogo tutto il popolo, rom fino ad indicarli come ladri e via discorrendo.
Un episodio accaduto proprio in concomitanza con i fatti di Fermo dove, lo ricordiamo, un uomo ha ucciso Emmanuel, ragazzo nigeriano, dopo una lite per insulti razzisti.
Le due vicende, seppur differenti per epilogo e matrice, hanno in comune come agente scatenante la parola razzismo. Sono entrambi figli di un’intolleranza che negli ultimi tempi sta crescendo in maniera esponenziale nel nostro paese e prende origine da uno strato sub-culturale che vede l’offesa nei confronti del diverso come un fatto normale, quasi dovuto.
Quanto accaduto ieri nel campo rom di Casalnuovo di Napoli, lo conferma e lo ribadisce.
L’accusa dei nomadi è precisa: “Un italiano è arrivato con una jeep bianca e ha dato fuoco al campo”. L’enorme quantità di rifiuti che circondano il campo ha facilmente alimentato un incendio le cui fiamme hanno assunto proporzioni considerevoli. Solo per il tempestivo abbandono del campo da parte delle persone che lo abitavano, non ha sortito morti.
Tantissimi anche i bambini presenti nel campo rom divorato dalle fiamme ed è proprio questo uno degli aspetti che desta maggiore sconcerto: l’incapacità di provare pietà, tenerezza e compassione anche al cospetto di piccole vite, senza macchie e senza colpe.
I bambini: da sempre capace di sedare anche gli animi più aridi e di strappare un sorriso anche al cuore più frigido di emozioni.
La cronaca contemporanea sottolinea che la forma più anaffettiva del razzismo elude e sovverte la sopra citata teoria: appartenere all’etnia rom equivale a una condanna irreversibile che fin dai primi vagiti si rivela uno status capace di segnare una vita, imponendole di misurarsi in eterno con la forma di razzismo più riluttante e violenta.
E questo vale anche per i bambini.
Casalnuovo SIANI REPORTAGE PRIZE
Foto A. Baldo