“L’insegnante è un ottimo studente” e insegnare è possibile solo se si continua ad imparare. Le parole del prof. De Luca, uno dei docenti che ha partecipato al progetto Good Literacy, riassumono lo spirito del seminario conclusosi ieri nella Biblioteca Pagliara dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. L’iniziativa, finanziata dalla Regione Campania, è stata ideata per migliorare la formazione dei docenti, in particolare quelli degli istituti liceali, e creare una rete di comunicazione tra studenti, insegnanti e scuole. Dalle elementari fino all’università.
Nel progetto hanno partecipato i dirigenti e i professori di sei scuole superiori di Napoli, prendendo come campione un totale di ventiquattro classi con ciascuna una media di venti studenti: l’Istituto Superiore Tecnico-Economico Archimede, il Liceo Comenio, il Liceo scientifico/linguistico De Carlo, il Liceo scientifico Galilei, l’Istituto Superiore Margherita di Savoia e il Liceo scientifico Emilio Segrè.
Per mesi ragazzi e professori hanno ottenuto una vera e propria formazione sui test Invalsi e Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment o in italiano Programma per la valutazione internazionale dell’allievo), i primi ostacolati con episodi di boicottaggio e proteste in tutte le regioni fin dalla loro introduzione in Italia il 25 Ottobre 2007; poi la simulazione delle prove di italiano e matematica che hanno dimostrato tra i diversi istituti una preparazione elevata tra gli studenti. Il Rapporto dell’Istituto Invalsi “Rivelazioni Nazionali degli Apprendimenti 2015-16” presenta invece un quadro molto variegato e non sempre eccellente tra i ragazzi delle scuole medie o licei, condizionato anche da fattori tra cui lo stato socio-economico della famiglia o il percorso di studi in ritardo, come nel caso degli alunni bocciati una o più volte.
Emanuela Bufacchi (a destra nell’immagine), professoressa Unisob, ha sottolineato uno dei problemi emersi dai risultati del Progetto: gli studenti hanno difficoltà nel cogliere le differenze testuali tra un articolo di giornale e un’opera narrativa né sanno formulare un giudizio personale dopo una valutazione del testo in esame. Questo vuol dire una carenza della literacy, o competenza di lettura, da non confondere con la capacità di leggere che rientra nell’alfabetizzazione: una persona può saper leggere ma non comprendere il significato del testo. Quindi bisogna affrontare -e alla svelta- l’emergenza “analfabetismo funzionale” nel nostro Paese, all’ultimo posto per literacy in Europa secondo il rapporto Ocse-Isfol pubblicato nel 2013.
Non basta solo conoscere i concetti, saper leggere e fare i conti aritmetici più semplici: nell’era dei social network e delle interazioni tra persone distanti migliaia di chilometri e dispositivi usati nella quotidianità, è inammissibile non saper comprendere il senso di un contratto di lavoro, dei termini di sicurezza per la privacy o di un messaggio su Messenger con una determinata punteggiatura o modi di dire che vanno ben oltre la semplice lettura della parola. In quest’ottica i test Invalsi si concentrano sulla rielaborazione delle informazioni, ovvero sulla contestualizzazione da parte dello studente di quello che gli viene proposto. Con un’adeguata istruzione alle spalle e un metodo di valutazione nazionale il giovane avrà una visione del mondo personale, critica e ragionata. Ben oltre il nozionismo. “Il testo parla tra le righe” come ha detto Emma Giammattei, preside della Facoltà di Lettere del Suor Orsola e coordinatrice dell’evento.
Gli studenti devono essere quindi preparati a ragionare, così come gli stessi docenti. Gianluca Genovese (a sinistra nell’immagine), professore di letteratura italiana e scrittura professionale nell’Ateneo, ha presentato le critiche più comuni rivolte alle prove di valutazione, sostenute più dagli insegnanti che dagli alunni: limitare il programma scolastico a un “teaching to the test” rivolto esclusivamente a scegliere la risposta corretta alle domande, l’emulazione dei test standard negli USA e Regno Unito tanto discussi ogni anno e il rischio di ignorare le altre materie come storia dell’arte e chimica a favore della letteratura italiana e aritmetica, su cui si concentrano le prove in Italia.
Il problema è quindi saper valutare cosa e come: quello che è importante saper mostrare come gli studenti sono arrivati a determinate conclusioni e guidare l’insegnamento verso un approccio dinamico che non si limiti ai libri ma anche all’apprendimento ipertestuale, stimolando il collegamento tra i concetti e i contenuti come video, interviste e tweet, perché no. Ancora più importante è non plasmare una classe di venti omini che pensano nello stesso identico modo, seppur perfetto nei test, ma formare una generazione coscienziosa e pronta ad usare quello che sa per applicarlo in test su carta, nelle relazioni sociali e nel lavoro.
Questo è un percorso lungo e non privo di ostacoli, ma fondamentale per poter ottenere il giusto metodo di studio e valutazione per tutti, giovani e professori.