L’omofobia è una tanica di sentimenti di forte riluttanza ed avversione, sempre pronta a riversarsi tra le più insospettabili strade dell’ordinaria normalità e quando incontra la miccia che la tramuta in una folata di indomabile e cieca violenza, ci vediamo costretti a confrontarci con episodi simili a quello che Lino Fusco, un 25enne di Ponticelli, ha vissuto sulla sua pelle.
Nonostante sia trascorso qualche giorno da quei momenti di cruda ed imprevedibile violenza che si è visto frenare addosso, Lino è ancora comprensibilmente scosso e turbato, i suoi occhi, meglio delle parole, esprimono quell’altalena di emozioni sulla quale la sua anima penzola da quel giorno.
Erano le 18.30 di un pomeriggio qualunque, nei pressi del palazzetto dello sport nel Rione Incis di Ponticelli, per ammazzare la noia, Lino decide di recarsi in un bar, uno dei tanti che costeggiano via Argine e per accorciare la strada, sceglie quel limbo d’asfalto tendenzialmente isolato, ma che, in pieno giorno si fatica a percepire come poco sicuro.
Dall’altro lato della carreggiata, Lino vede venirgli incontro tre ragazzi rom a bordo di un’auto che iniziano a schernirlo, il ragazzo seduto dietro scimmiotta delle movenze femminili, mentre quelli seduti avanti lo insultano rivolgendogli parole e frasi piuttosto esplicite e volte a denigrare in maniera inequivocabile il suo orientamento sessuale.
“Fin da subito ho capito che stava accadendo qualcosa di spiacevole per me, – racconta Lino – allora ho iniziato a camminare più velocemente, ma loro hanno invertito il senso di marcia, sono tornati indietro e sono venuti verso di me. È successo tutto in un attimo, ho visto la loro auto affiancarmi, mi hanno prima chiesto se avevo l’accendino, poi l’uomo seduto al lato passeggero è sceso dall’auto e mi ha bloccato, mentre il guidatore ha iniziato a picchiarmi, invece, il ragazzo che era seduto dietro è rimasto in macchina. Inizialmente, avevo pensato a una rapina, perché mi strattonavano la borsa, invece no, non hanno rubato né la borsa né il cellulare che, tra l’altro, avevo proprio tra le mani al momento dell’aggressione.
Uno dei due mi ha picchiato con una violenza davvero brutale. Tre pugni in faccia: ricordo solo questo, in quei momenti non ho capito molto. Ricordo solo che mentre mi picchiavano, non mi dicevano niente, né insulti né minacce, solo violenza, tanta violenza.”
Cosa significa essere gay a Ponticelli?
“Abito da sempre a Ponticelli e ho vissuto in totale libertà la mia omosessualità e questo, prima d’ora, non mi ha mai creato problemi, né mi è mai capitato di venire a conoscenza di aggressioni omofobe nel quartiere. È anche vero che molto spesso molte trans e gay hanno paura di denunciare gli episodi di violenza di cui sono vittime ed è sbagliato, perché non dobbiamo avere paura di uscire allo scoperto.
Ho sempre considerato Napoli la più sicura delle città per noi gay, per il fatto che i napoletani sono molto calorosi e ospitali, ma non è la città il problema, è chiaro che il vero problema è il meccanismo di odio e repulsione che scatta nella testa di certi uomini, a prescindere dalla città in cui vivono. È inaccettabile che una persona venga picchiata perché è gay. Non mi rinchiuderò in casa, non permetterò di certo a tre omofobi di rovinarmi la vita o condizionare la mia libertà. Essere aggredito nel mio quartiere è stata una sorpresa. Non solo per me, molti abitanti del quartiere sono meravigliati, sconcertati, arrabbiati per quanto mi è accaduto.”
“Non mi sento sbagliato, sto cercando di trovare in tutti i modi una motivazione a quello che mi è successo: li ha infastiditi il mio modo di camminare oppure la mia voce. Non ho fatto niente di male, è una cattiveria gratuita usare violenza contro un gay solo perché è gay”: non si dà pace Lino, sembra quasi volersi “giustificare”, giunge a ritenere opportuno di spiegare che nello status di omosessuale non è insita una malattia contagiosa o una colpa da espiare. Gli hanno fatto male quei pugni, non solo per le escoriazioni ancora visibili, il colpo più doloroso lo hanno inferto all’orgoglio e all’identità di un ragazzo che non vuole e non sa vergognarsi per il suo orientamento sessuale.
Cosa vuoi dire ai ragazzi che vivono la tua stessa condizione e che apprendendo di episodi come quello che hai vissuto sulla tua pelle hanno paura di dichiararsi gay?
“La paura di esporsi c’è quando non hai una famiglia alle spalle che ti sostiene o magari i genitori non accettano di avere un figlio gay. Tutti dovrebbero trovare il coraggio di denunciare un atto del genere e di mostrarsi per quello che sono. A tutti i ragazzi omosessuali dico di non aver paura e di mostrarsi per quello che sono, perché chiudendosi in sé stessi e isolandosi fanno il gioco di chi ci vuole emarginare.”
Che cos’è l’omofobia?
“È solo ipocrisia. Gli italiani fanno tante cose, ma di nascosto, siamo un popolo molto bigotto. L’omofobia è una paura finta, dietro la quale si nasconde un desiderio che impone di mostrarsi migliori di quello che si è realmente agli occhi degli altri. Agli occhi del mondo appaiono fidanzati fedeli e mariti devoti e poi di notte vanno con i trans o in Oriente a fare sesso con i bambini.
L’omofobia più crudele viene proprio da chi dentro di sé cover il desiderio di vivere un rapporto omosessuale, ma che non può o non vuole esprimerlo e quindi riversa sui gay dichiarati questa sorta di “invidia” verso quel coraggio e quella presa di coscienza che loro non sono in grado di abbracciare.”
Cosa vuoi dire a chi si rende autore di aggressione omofobe?
“Che sono il reietto della società e invece di picchiare gli altri, li invito a guardare alle loro vite, perché è dentro di loro che c’è qualcosa che non va. Qual è il motivo che ti spinge a picchiare una persona dal nulla? I miei aggressori mi hanno colpito con una forza e una cattiveria tale come se io avessi fatto qualcosa di male e meritavo una “lezione”, di essere punito. Sono stato fortunato perché non mi è successo niente di grave. In quei momenti ho sperato che non tirassero fuori i coltelli.”
Lino, al momento dell’aggressione, portava gli occhiali da vista, mentre racconta l’escalation di violenza subita in quegli attimi di follia, mostra quello che resta dei suoi occhiali: una stecchetta completamente staccata, i vetri rotti, la montatura ridotta in brandelli.
“Purtroppo già so che non sarò l’ultimo, sicuramente a breve sentiremo di altri ragazzi picchiati ed aggrediti. Spero che la mia vicenda possa aiutare l’opinione pubblica a capire che le aggressioni omofobe possono verificarsi davvero ovunque, non solo nei luoghi dove le trans si ritrovano abitualmente per prostituirsi o nelle zone notoriamente frequentate dagli omosessuali. Può accadere anche in un quartiere in cui episodi simili non si sono mai verificati, come Ponticelli, che un ragazzo venga picchiato mentre cammina per strada perché è gay.”