Il suicidio: la forma più estrema e brutale di disperazione alla quale l’essere umano può decidere di affidare la definitiva risoluzione dei problemi. Nell’era della precarietà, della disoccupazione e dell’impossibilità di destreggiarsi tra i debiti, il suicidio è diventato un fenomeno in pericolosa ascesa nel quale sempre più uomini sopraffatti dal tormento cercano rifugio, quasi come se fosse l’unico modo per espiare quella che percepiscono come una “colpa”: non riuscire a garantire alla famiglia quanto necessario per condurre un’esistenza serena, non possedere un lavoro.
Una colpa sì, ma non di certo imputabile a un uomo come Salvatore De Francesco, l’ultima vittima di questa escalation di cieca disperazione.
Salvatore, 43 anni, padre e marito, operaio suicida, da oltre due anni senza lavoro, si è tolto la vita venerdì, gettandosi dal terrazzo del palazzo in cui viveva la sorella, a Casalnuovo.
“Scusatemi, ma così non ha più senso vivere”: queste le parole che ha scritto a moglie e figlie, prima di andare incontro a quel tragico destino.
Aveva cercato in tutti i modi di trovare un lavoro dopo la chiusura della Ixfin di Marcianise, ma non ci era riuscito, Salvatore, dopo il fallimento dell’azienda nel 2006, aveva cercato lavoro in Italia e all’estero. Era stato nelle Marche da una sorella, in Germania da un parente. Per quanto esperto del sistema operativo Sap, non ha tuttavia trovato impiego.
La sua fine riporta alle cronache il dramma degli ex lavoratori di fabbriche casertane confluiti nel cosiddetto “Bacino di crisi”: da oltre un anno non hanno alcuna forma di sostegno al reddito.
Ex colleghi e amici hanno organizzato un colletta per la famiglia. Una famiglia privata dalla forma più aberrante di ingiustizia che troppo spesso manifesta la sua latente presenza nel terzo millennio.