Era il 5 luglio del 2014 quando Salvatore Giordano, un ragazzo di 14 anni, per soffocare la noia tipica del tempo che galleggia tra la fine della scuola e la partenza per le vacanze, frammista all’asfissia che contraddistingue un caldo pomeriggio d’estate, decide di allontanarsi dalla sua Marano per raggiungere il centro di Napoli e concedersi una passeggiata lungo le vie dello shopping partenopeo.
Salvatore ignora che, quel pomeriggio, sarebbe crudelmente divenuto “il pomeriggio” e che quella consumatasi il 5 luglio del 2014 lungo le strade di Via Toledo, a ridosso della Galleria Umberto I, si sarebbe rivelata la sua ultima passeggiata e che da quel giorno avrebbe smesso di essere un adolescente qualunque per divenire “Salvatore Giordano”: un nome scalfito su una lapide, un volto da affrancare ad una delle vicende di cronaca più tragiche della storia di Napoli.
Le circostanze che hanno spento quella vita ancora così acerba sono più che note: dei calcinacci distaccatisi da taluni cornicioni della Galleria, lo hanno travolto, lo hanno sopraffatto. Lo hanno ucciso.
Quante cose doveva ancora essere e quante cose non sarà più, Salvatore.
Quante strade avrebbe dovuto ancora esplorare e quanti chilometri sono stati estirpati dal suo cammino da quel percorso, imprevedibilmente sbagliato, franato nella sua vita, senza alcuna avvisaglia di pericolo.
Per comprendere appieno la straziante entità della morte di Salvatore Giordano, è sufficiente porsi una semplice domanda: quante volte ho calpestato quello stesso limbo d’asfalto?
Già, la risposta è tristemente disarmante: Salvatore Giordano poteva essere chiunque.
Perfino io. Perfino tu.