Essere o non essere. Il dubbio amletico ha attraversato generazioni e secoli, senza mai trovare effettiva risposta nella storia dell’uomo. Un fatto, un avvenimento senza precedenti però ha sconvolto questo assioma che sembrava immanente e intoccabile. L’Irlanda, la cattolicissima e rigida Irlanda, ha deciso di essere. Si è liberata da schematismi e oppressioni di forma religiosa ed etica scegliendo di scegliere. Scegliere attraverso un referendum popolare se il matrimonio tra persone dello stesso sesso fosse giusto o meno. E il popolo, in un insolito caldo venerdì 22 maggio 2015, si è schierato in massa per il SI o per meglio dire per uno YES quanto mai chiaro e schiacciante nei suoi numeri. Oltre al dato di affluenza altissima (i dati ufficiali hanno registrato che circa l’80% degli aventi diritto si sono recati alle urne) lo YES Party ha ottenuto il 62.1 dei consensi.
Lo stesso popolo, coperto per anni da una coltre non tanto velata di pregiudizi e convinzioni religiose, nel giro di 24 ore si è scrollata di dosso tutto questo, donando una nuova dignità non solo alle coppie omosessuali, finalmente libere di contrarre civilmente il matrimonio come tutti gli altri, ma soprattutto a loro stessi, che si sono di colpo scoperti un popolo libero, equo e soprattutto solidale che ha detto senza dubbi reverenziali si all’amore e alla gioia di viverlo senza pregiudizi. Il risultato irlandese poi, si colloca dritto dritto nella storia moderna. Infatti, escludendo alcune leggi federali americane (prontamente stroncate da corti di giustizia che non hanno esitato a renderle incostituzionali), l’Irlanda è effettivamente il primo paese al mondo ad inserire nella propria Costituzione un articolo tanto semplice, tanto significativo. “Marriage may be contracted in accordance with law by two persons without distinction as to their sex”. Che tradotto risulterebbe così: “Il matrimonio può essere contratto in conformità al diritto da due persone, senza distinzione di sesso”. Una mossa fisiologicamente pericolosa, perché è un principio sacrosanto di teoria generale delle dinamiche costituzionali che i diritti fondamentali non si mettono al voto, in quanto la loro essenza è proteggere proprio coloro che la maggioranza vorrebbe invece fuori dalla contesa politica. Ma tant’è, in Irlanda la politica si è assunta questo rischio e anche il cielo sembra aver celebrato la vittoria del sì con un arcobaleno apparso proprio sopra Dublino.
Non molti sanno, però, come spiega un illuminante articolo del Guardian che l’Irlanda dal 2010 possiede l’istituto delle unioni civili per le coppie dello stesso sesso, un regime che a seguito dell’esito del referendum è destinato a scomparire. Tale disciplina conteneva almeno 160 differenze giuridiche rispetto al matrimonio, differenze che non solo rendevano i cittadini gay e le cittadine lesbiche irlandesi persone di serie B all’interno della stessa comunità, ma che hanno indotto il legislatore ad intervenire più volte per sanare questi difetti di ordine giuridico-sociale. E non è finita qui, lo scorso aprile il governo aveva già approvato un provvedimento “apripista” alle unioni civili, il cosiddetto “Children and Family Relationships Act”, che ha esteso alle coppie dello stesso sesso il diritto di poter adottare un bambino. Un dettaglio che i sostenitori del NO hanno sottovalutato o addirittura ignorato in quanto durante la campagna referendaria hanno stoicamente sostenuto la tesi per la quale l’approvazione dell’emendamento alla Costituzione avrebbe violato il diritto che ogni bambino ha ad avere una mamma e un papà. Gaffe che probabilmente è costata caro al movimento per il No. In tutto questo marasma ideologico e politico, la classe dirigente italiana continua a tacere, dimostrando ancora una volta quanto sia profonda la distanza, non solo geografica, che ci separa dall’Irlanda. Il Paese anglofono in 5 anni ha completato un percorso lunghissimo, facendo praticamente tutto in anticipo rispetto a quello che la politica italiana vorrebbe proporci ora. Un paese costituzionalmente laico dovrebbe abbattere le differenze di genere e riconoscere l’universalità dell’amore, come principio cardine della propria democrazia. Nel nostro Paese invece, non si fa altro che perdere tempo, propinando al Parlamento ben 4320 emendamenti sulle unioni civili, ai quali, aggiungendo la lentezza della burocrazia italiana, sposterà l’argomento di commissione in commissione, portandola scientificamente alla luce in vista di elezioni o consultazioni popolari sul governo.
L’Irlanda ha scelto e si è scoperta un Paese nuovo. L’Italia ha deciso ancora una volta di non essere.
Roberto Fabozzi