Per capire com’è il Rione Conocal, oggi, all’indomani del blitz che ha tratto in arresto più di 90 persone che, a vario titolo, svolgevano attività illecite per conto del clan D’Amico che proprio tra i palazzoni del Rione da decenni annovera il suo quartier generale, è necessario fare un passo indietro per comprendere cos’era prima.
La gente torna a sedersi in cortile e nei giardinetti, si affaccia al balcone e alle finestre con fare disinvolto e disteso. Si passeggia tra quelle strade dai nomi “fiabeschi”, ma che troppo spesso hanno accolto scene contraddistinte da una ferocia criminale particolarmente sconcertante, senza dover obbedire all’impellenza di tenere la testa bassa. Si stanzia a ridosso delle fermate del pullman, senza dover imporre agli occhi di schivare scene che è meglio non vedere.
Non è un’esagerazione o un’estremizzazione della realtà: le immagini che hanno accompagnato e, per certi versi, legittimato il maxi-blitz di domenica scorsa lo evidenziano. Nel Rione Conocal si spacciava alla luce del sole, per strada, tra la gente e i giochi dei bambini, sprezzanti degli occhi indiscreti, perché, chi vive lì sa bene a quale genere di condotta è opportuno attenersi.
Non fissare, non guardare, non sbirciare, nemmeno per sbaglio o per lasciare che a prevalere sia quello scampolo di puntuale e tentatrice curiosità. Certe cose è meglio non vederle, non saperle.
“Perché se quelli si impressionano e pensano che li stai guardando per qualche motivo in particolare, rischi di passare un guaio pure se non hai fatto niente. Metti caso che sabato pomeriggio, mentre stavi camminando, notavi due che stavano facendo qualche “rammaggio” (attività illecita) e dopo il blitz di domenica sera, qualcuno arrivava ad attribuire a una tu spiata quegli arresti… quelli ti puntano e tu, oggi o domani, lo passi un guaio… e chi ci abita qua dentro, come dovrebbe campare? È meglio che ti fai i fatti tuoi… si è sempre detto: “campi 100 anni”!”
Una vita trascorsa a fiutare intenzioni e pensieri delle menti del “sistema” per eluderne i pericoli ed evitare di sovraesporsi a quel genere di rischi che da queste parti possono anche costarti la vita.
Lo stesso concetto si estende a uno dei gesti che più spontaneamente irrompono nella quotidianità di ciascuno di noi: aprire una finestra, affacciarsi al balcone.
Un gesto che da anni gli abitanti del rione hanno evitato di compiere.
Lo stesso vale per la sosta lungo quelle che vengono definite le “aree verdi” del Rione. Qualche scampolo di alberi, un timido accenno di erba. A primeggiare è l’immondizia unitamente alla fatiscenza delle carcasse dei palazzi.
Crepe, ruggine, rattoppi, degrado, abbandono.
Una sovrapposizione di speranze e sopraffazione frutto di decenni di mistica convivenza tra criminalità e desiderio di rivalsa, arresti e latitanze, vite spezzate e vite vissute ai margini del sistema, della società, della dignità umana.
Le sentinelle, negli ultimi tempi, erano ben dissipate lungo tutto il Rione e non era difficile avvedersene. Le auto “sconosciute” che entravano nel Conocal venivano scrutate e segnalate a dovere, soprattutto quando transitavano lungo gli “obiettivi sensibili”: il centro di smistamento della droga e il bunker del clan, laddove, storicamente, le sorelle D’Amico hanno sempre abitato.
La presenza della stampa viene vissuta male. Anche all’indomani del maxi-blitz.
Anzi, ora anche di più.
L’avvistamento di un operatore o di un giornalista origina il “classico” passaparola: quello che innesca la sincrona e complice condivisione del comportamento più opportuno da adottare, proprio come avviene durante le perquisizioni.
Tanti tasselli di un mosaico perfetto, dove ognuno sa esattamente quale ruolo espletare: questo è il compito al quale è chiamato ad adempiere chi vive in un rione di case popolari come il Conocal di Ponticelli.
La gente non parla con la stampa, si guarda bene dal farlo, non per omertà o per paura, ma solo perché non sanno cosa dire, cos’è “opportuno” dire: “non sai mai come si possono mettere le cose… ora se li sono portati (li hanno arrestati), ma tra una settimana o un mese, possono tornare in libertà e se nel frattempo io, piuttosto che un altro, abbiamo detto qualche fesseria che esce in tv o su un giornale, poi, come si mettono le cose!?”
Il tema dominante, a prescindere dai momenti storici, a prescindere dal plesso di case popolari che si va ad ispezionare, è sempre lo stesso: la sfiducia nella giustizia, legittimata da un senso di forte abbandono da parte delle istituzioni.
“Durante le settimane passate, abbiamo accolto tante di quelle passerelle (politici che sfilano lungo il rione per dispensare santini, promesse ed accaparrarsi voti) è una scena che si ripete da anni. Guardate qua quanti manifesti elettorali inzozzano le pareti. E mica ci possono stare attaccati in faccia alle mura dei palazzi? Ma ce li vengono a mettere lo stesso, perché nel Rione Conocal la municipale a mettere le multe non ci viene. Nel Rione Conocal, “i buoni e i cattivi” sono abituati a fare quello che vogliono loro.”
Da un balcone, un gruppo di adolescenti si dimena e inveisce contro la stampa, sbraitando insulti e minacce, parafrasando le celeberrime frasi estrapolate dalle pellicole di matrice saviniana, millantando presunte appartenenze ad un clan piuttosto che a un altro. Quella non è “guapparia vera”: sono gli effetti di Gomorra su quelli che si atteggiano a finti guappi.
I murales, le scritte verniciate in ogni dove: insulti, pensieri e parole che apparentemente, in alcuni casi, sembrano non avere alcun senso, in realtà, esprimono gli stati d’animo di quei ragazzi che fortemente desiderano evadere da quel grigio e, a modo loro, cercano di adornare il degrado, forgiandolo a immagine e somiglianza dei loro sogni, in maniera più o meno consapevole.
All’indomani di quel blitz che ha “liberato” il Rione Conocal, le scritte che troneggiano da più parti, inseguendosi lungo le mura dei palazzi, sembrano voler emergere in tutta la loro desolante disperazione, urlando con voce ancor più energica e sostenuta tutto il desiderio di rivalsa che le colorano, di nero, di rosso, di speranza.