Lo scorso 7 giugno, esattamente due settimane fa, Ciro Colonna veniva violentemente strappato alla vita e all’affetto dei suoi cari, per mano di un sicario che ha letto tutt’altra intenzione nel suo goffo ed ingenuo tentativo di riacciuffare gli occhiali da vista nel parapiglia generale che dissemina panico e paura nel bel mezzo di un agguato di camorra.
È successo nel Lotto O di Ponticelli, all’interno di un circolo ricreativo adibito a luogo di ritrovo nel quale i ragazzi del rione potevano rifugiarsi per evadere dal degrado e dalla noia che devasta e sovrasta il grigio, la solitudine e l’isolamento delle periferie.
Ciro, 19 anni, una vita semplice e normale, brutalmente straziata dalla ferocia della criminalità.
La vita di Adelaide, la madre di Ciro, così come quella del padre e della sorella, si sono fermate nell’istante in cui sono stati investiti dalla notizia che nessuno dovrebbe mai ricevere: hanno sparato a Ciro.
Un cuore di mamma straziato da un dolore devastante, franato nella vita di sempre di una famiglia qualunque per strapparne via un perno, solare e giocherellone, imprimendo in chi resta a piangere quella prematura e violenta morte la consapevolezza che niente più sarà come prima. Niente e nessuno potrà restituire Ciro a chi, giorno dopo giorno, ne patirà l’assenza, eppure, mamma Adelaide sa che sarà proprio Ciro a donargli la forza per andare avanti e ridisegnare la sua nuova vita senza quel figlio che tanto amava.
“Non faccio altro che pensare al giorno in cui è nato. Conserverò sempre tanti ricordi bellissimi di mio figlio. Mi manca tutto di Ciro, ero innamorata di lui. Non facevo altro che chiedergli baci e abbracci, cosa che non ho mai fatto con mio marito. Adesso non intendo mettere da parte il suo accappatoio, lo userò per asciugarmi: così continuerà ad abbracciarmi.
Mi chiedo spesso cosa ha pensato durante i suoi ultimi attimi di vita e se ha sofferto. La persona che lo ha trasportato in ospedale mi ha detto che mi invocava. So di essere stata il suo ultimo pensiero e proprio perché sapeva quanto ero apprensiva, era consapevole di darmi un dolore enorme.”
Cosa vuole dire ai ragazzi dell’età di suo figlio che vivono in realtà difficili?
“Di stare lontani da certe situazioni, di allontanarsi il più possibile dalla criminalità e cercarsi un futuro migliore, per il loro bene e per quello dei loro genitori. Non solo perché prendendo una brutta strada rischiano di perdere la vita, devono pensare anche al dolore che arrecano ai genitori. Piangere la morte di un figlio è un dolore troppo grande: non date questa sofferenza alle vostre madri. Lo dico sempre agli amici di Ciro che quasi tutti i giorni vengono a salutarmi, la mia preoccupazione, oggi, è tutta concentrata su di loro. Come mamma non posso che augurarmi un futuro migliore per loro, esattamente come lo speravo per mio figlio. Adesso mi resta una figlia di 22 anni e per lei e per tanti altri ragazzi, mi auguro che un giorno la società e questo contesto possano migliorare, anche se sono consapevole che è difficile perché il lavoro da fare è davvero tanto.”
Com’è la vita in un quartiere di periferia come Ponticelli?
“La vita qui è pesante, dopo quello che è successo a Ciro ne ho avuto la conferma. Finora ne avevo solo sentito parlare, adesso che la sto vivendo posso solo dire che è tremendo il clima che si respira qui. Ho cresciuto i miei figli sotto una campana di vetro. Ciro, quando era piccolo, giocava con sua sorella e le amichette, non lo lasciavo scendere giù. Alle 20, lui e sua sorella, avevano già cenato e indossavano pure il pigiama, li mettevo a letto a guardare i cartoni animati. Si affacciavano al balcone e vedevano i bambini giocare per strada, mi chiedevano perché loro non potessero scendere, ma non ho mai ceduto alla tentazione di accontentarli. Quando Ciro ha iniziato a frequentare le scuole medie, però, come tutti gli adolescenti, ha sentito il bisogno di ritagliarsi i suoi spazi e non potevo impedirgli di uscire a fare due passi con gli amici, anche se fino a quando non lo vedevo entrare dalla porta di casa non stavo tranquilla. Mi chiamava “ansia” mio figlio, perché diceva che ero una madre troppo apprensiva. Le mie amiche mi prendevano in giro, dicevano che dovevo tagliare il cordone ombelicale e lasciarlo vivere. Nessuno poteva prevedere quello che sarebbe successo quel pomeriggio. Un sacco di strane coincidenze si sono date appuntamento: di solito, Ciro non usciva mai prima delle 17.30, quel pomeriggio alle 16 era già pronto e il suo cellulare si era rotto. Non riusciva a mettersi in contatto con uno dei suoi amici del cuore e allora decise di andare a citofonarlo. E non è più tornato a casa.”
Una delle grandi protagoniste della vostra tragedia è stata la disinformazione. Cosa vuol dire per i familiari di una vittima innocente della criminalità di appena 19 anni, vedere gli organi di stampa divulgare informazioni sbagliate ed infamanti sul suo conto?
“Fa male. Sapere che mio figlio si ritrovava in quel circoletto, come faceva tutti i giorni, insieme ai suoi amici, solo per fare una partita al biliardino o per chiacchierare un po’ e sapere che per questo è stato ucciso, già fa troppo male. Poi, sentir dire tante cose non vere sul suo conto mi ha dato altro dolore. Come ha detto mio cognato in un’intervista ce lo hanno ucciso due volte: con quel proiettile e con le bugie. Ciro era un ragazzo tranquillo che non mi ha mai dato problemi, allegro, pieno di voglia di vivere e capace di farsi volere bene da tutti. Era un giocherellone, amava prendere in giro tutti, era davvero quanto di più lontano possa esistere dalla cattiveria e dalla delinquenza. E non lo dico perché sono la mamma. Ci tengo tanto, però, a ringraziare tutti i giornalisti che hanno svolto correttamente i loro lavoro e hanno contribuito a onorare la memoria di mio figlio e tutte le persone che da quel giorno non fanno altro che manifestarci vicinanza, solidarietà e affetto. Dalle persone presenti al funerale, a quelle che hanno partecipato alla fiaccolata, alle tante associazioni ce ci sono state e ci sono tuttora vicine in questo momento di grande dolore: ringrazio davvero tutti.”
Mamma Adelaide, la mamma di Ciro Colonna, l’ultima ed ennesima vittima innocente della criminalità, ha un solo desiderio da esprimere: “Aiutateci a fare in modo che la memoria di mio figlio non sia dimenticata e che il suo sacrificio possa almeno servire ad evitare che altre madri si trovino costrette a vivere quello che sto provando io.”