Un ragazzo buono come il pane, timido, taciturno, ma sempre sorridente. Buono: questa è la parola che con più frequenza ripetono gli amici di Ciro Colonna raccontando di lui.
I ragazzi e le ragazze del Lotto Zero, il rione di Ciro, il rione di tanti ragazzi come lui, condannato da vivo a coesistere con la precarietà e l’isolamento delle periferie e condannato, pure da morto, dall’intransigente pregiudizio che puntualmente si fa spazio tra gli articoli di giornale e l’opinione pubblica, quando muori ucciso in un posto come il Lotto Zero di Ponticelli.
“Faceva le corse per non arrivare tardi a scuola. Era un ragazzo talmente buono che quando giocavamo tra di noi e ci scappava qualche schiaffetto scherzoso, su Ciro nessuno mai riusciva ad alzare un dito. Nemmeno per scherzo, perché se lo guardavi negli occhi vedevi il ritratto della bontà e non riuscivi a dargli nemmeno uno schiaffetto. Era talmente buono che era impossibile volergli male e fargli del male. Era veramente troppo buono. E soprattutto per questo fa male pensare che è morto perché qualcuno ha saputo e ha voluto fargli del male. Non riusciamo ad accettare l’idea che sia morto in quel modo: perché si è abbassato per prendere gli occhiali che gli erano caduti. Un gesto che fino alla fine sottolinea la sua ingenua bontà. Invece di scappare, preso dal panico, ha pensato agli occhiali. Lo sappiamo com’è quando questi vanno a sparare: si fanno di cocaina, perché devo esaltarsi, non devo capire niente. E questo gli crea allucinazioni. Perché questo è successo: si sono impressionati, perché l’hanno visto abbassarsi e chissà che film si sono fatti. Se lo avessero guardato negli occhi per un attimo, si sarebbero resi conto che bastava toccarlo con un dito per farlo morire di paura.”
Lo raccontano così Ciro, i suoi amici, gli amici di sempre. Qualcuno non riesce a trovare parole da dire a voce e preferisce l’intimità di uno sfogo da riversare su un foglio, ma tutti vogliono che venga conosciuto anche da chi non l’ha vissuto per quello che era realmente: quanto di più lontano possa esistere dalla parola “camorra”, dalle logiche, dai modi di fare e soprattutto dalla violenza che scorre nelle vene di chi vive nel segno della criminalità.
Sono sconvolti, addolorati, incazzati quei ragazzi che proprio come Ciro si raggruppano nei luoghi in cui, in mezzo a quel nulla, intravedono uno spiraglio che possa permettergli di fare qualcosa, per passare del tempo insieme, tra amici. Il circolo ricreativo, gli androni dei palazzi: non c’è altro, questi ragazzi non hanno altro.
Un agglomerato di palazzoni che costeggiano una strada a doppio senso di marcia, dove le macchine sfrecciano veloci, di fronte c’è l’Ospedale del Mare. Intorno il niente misto a nulla. Asfalto e isolamento. Questo è il Lotto Zero di Ponticelli.
Morire perché non hai un luogo dove andare e quindi ti adegui a quello che il Rione può offrire: un circolo ricreativo, una stanza ricavata dove giocare a carte o al biliardo, a due passi da casa. Tra un pranzo e una cena e poi, di sera, quando tanti ragazzi “vanno a Napoli”, loro restano lì, perché non dispongono di auto a sufficienza per potersi spostare tutti. E i ragazzi del Lotto Zero sono fedeli ad un’unica regola, quella dettata dal “codice d’onore” dell’amicizia vera e sincera: o tutti o nessuno.
Ed è per questo che, adesso, l’assenza di Ciro urla un dolore che segna profondamente gli occhi di quei ragazzi. Un’assenza rumorosa così tristemente in contrasto con la presenza silenziosa che ha contraddistinto la vita terrena di Ciro, un ragazzo di poche parole che ha lasciato un segno indelebile nel cuore di chi lo ha amato e continuerà, ancora e sempre, ad amarlo:
“Ciro era un ragazzo con un buon cuore e una gran voglia di vivere!
Un ragazzo con il sorriso sempre stampato in faccia.
Nemmeno dalla apparenza sembrava cattivo, un animo buono e un ragazzo che non frequentava cattive compagnie ma l’ingenuità l’ha portato a questa triste realtà!
La gente giudica Ciro per una persona al contrario di ciò che era veramente, ma solo chi lo ha conosciuto sapeva che persona era.
Ciro merita di essere ricordato in maniera dignitosa e non per la persona che i giornali raccontano.
In questo quartiere la realtà è difficile. Non si accetta così facilmente la scomparsa di un nostro coetaneo, ennesima vittima della camorra.
Ormai è un “business” che fa parte delle periferie già da tantissimi anni ed è innumerevole il sangue che ha versato nelle nostre strade.
I ragazzi del Lotto Zero di Ponticelli.”