Un sabato afoso di 30 anni fa ci lasciava Massimo Troisi, uno dei più grandi attori del cinema italiano.
Massimo aveva terminato da neanche 12 ore le riprese de Il Postino, film considerato da molti il suo testamento morale e si era adagiato sul letto a riposare, perchè si sentiva un po’ affaticato. Queste le sue ultime parole alla sorella Annamaria.
Massimo non amava parlare del suo cuore malato fin dalla giovinezza e se ne andò via nel sonno con la stessa leggerezza che trasmetteva la sua comicità. Leggerezza che non era mai superficialità, ma una specie di “sospensione del dire” che si traduceva in una capacità naturale e immediata di far ridere il pubblico.
Troisi diceva di sè: “Eccomi qui, io sono sua maestà il Napoletano normale. Nessuno se lo aspettava un napoletano timido, che parla sottovoce. Forse per questo faccio ridere”. E quando lo paragonavano a Totò e a Eduardo De Filippo, lui rispondeva così: ” A me sembra anche irriverente fare questo paragone. Ma non lo dico per modestia, perché non si fa il paragone con Totò o con Eduardo, questa è gente che è stata trenta, quaranta anni e quindi ci ha lasciato un patrimonio.”
La grande umiltà dell’attore napoletano traspariva dalle sue parole anche quando ribadiva orgoglioso le sue origini: “Io devo tutto a quel mondo, al mio paese, San Giorgio a Cremano, 5 chilometri da Napoli. Laggiù ho imparato cos’era la disoccupazione, ma anche a non rassegnarmi. Ho imparato a parlare, a fare “‘o teatro” e non mi pare di essere cambiato molto da allora, anche se vivo a Roma”.
Tralasciando la modestia, invece, il patrimonio artistico che Massimo ha lasciato al cinema italiano, rispetto ai 41 anni della sua breve vita, è immenso: dopo l’esordio a teatro che fa scattare “la scintilla dell’innamoramento” per la recitazione con la compagnia La Smorfia insieme a Lello Arena ed Enzo Decaro, la notorietà televisiva arriva con le trasmissioni Non stop, La sberla, Luna Park.
Il successo al cinema esplode nel 1981 con Ricomincio da tre: costa 450 milioni delle vecchie lire, ne incassa più di 14 miliardi. Lo ha scritto con la compagna di vita Anna Pavignano e la trama è per certi versi una parabola della vita di Massimo, come afferma lo stesso attore: “La scelta di non fare quel che è stato deciso da altri. Il padre di Gaetano nel film gli dice devi fare il geometra, lui invece parte”.
Seguono Scusate il ritardo nel 1983 e Le vie del signore sono finite nel 1987, fino a Pensavo fosse amore e invece era un calesse del 1991. In questi ultimi due Massimo passa anche dietro la macchina da presa e veste quindi i panni di regista e sceneggiatore, divertendosi a dirigere, tra gli altri, l’inseparabile amico di sempre Marco Messeri.
Celebre anche la collaborazione con l’indimenticato Pino Daniele che compose l’incantevole canzone “Quando” per la colonna sonora del film Pensavo fosse amore invece era un calesse.
Ettore Scola propone a Troisi di interpretare per lui due film: Splendor e Che ora è? Che vale a lui e a Marcello Mastroianni la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia.
Altro famoso sodalizio artistico è quello con Roberto Benigni in Non ci resta che piangere, l’avventura spaziotemporale di un bidello e un maestro che si ritrovano nel Rinascimento: come dimenticare la celebre lettera al Savonarola che scrivono i due protagonisti e che riporta inevitabilmente la mente alle risate suscitate dalla lettera scritta da Totò e Peppino De Filippo in Totò, Peppino e la malafemmina?!
All’inizio del 1994 Troisi, di ritorno dall’ennesima visita cardiologica, apprende di doversi sottoporre ad un delicato intervento chirurgico, ma decide comunque di portare avanti le riprese de Il Postino, diretto da Michael Radford e girato tra Procida e Salina.
Ricorda a riguardo Renato Scarpa, uno degli attori protagonisti: “Ed è stata un’esperienza umana grandissima, perché lui stava male e ha voluto fare questo film a tutti i costi: tutti gli dicevano “ma dai, fai il trapianto e poi lo farai”, e lui diceva “No, questo film lo voglio fare con il mio cuore”.
Davvero Troisi ci mise tutto il sentimento che poteva in questo film, tutta la passione di cui i partenopei sono caratteristicamente capaci, per raccontare l’amicizia tra un umile portalettere (Massimo) e il poeta Pablo Neruda, interpretato da Philippe Noiret.
Disse il regista Radford: “Le riprese furono complicate, lui girava un’ora al giorno, i primi piani, tanto era esausto. Ma lo voleva fare, ci teneva tantissimo, al quel personaggio tratto dal romanzo del cileno Antonio Skàrmeta”.
Caparbietà e impegno valsero al film la nomination a cinque Premi Oscar (tra le quali Massimo Troisi come miglior attore: il quarto di tutti i tempi a ricevere una nomination per l’Oscar postumo), ma delle cinque nomination si concretizzò solo quella per la migliore colonna sonora (scritta da Luis Bacalov).
A 21 anni dalla morte, Massimo Troisi è stato definito in molteplici modi: un genio d’avanguardia negli anni settanta, il volto del nuovo cinema napoletano e il salvatore del cinema italiano negli anni ottanta.
Per il grande pubblico che lo amato e continua ad amarlo è semplicemente Massimo, capace con la sua malinconia, la sua timidezza e talvolta la sua afasia unita ad un’ incredibile gestualità di una potenza espressiva unica.
Il tutto usando quella lingua confidenziale con forti tratti dialettali che arriva al cuore di tutti e la disarmante naturalezza con cui rispondeva quando gli chiedevano perchè usasse proprio quella: “Perché è l’unico modo in cui so parlare…” .