Uccidere a 16 anni, non per servire il clan, ma per sedare la gelosia.
Questo il movente alla base della morte di Pasquale Zito, il 22enne deceduto in seguito a un agguato nel quartiere Bagnoli lo scorso 4 febbraio.
Secondo gli inquirenti, Zito avrebbe pagato con la vita un approccio con la fidanzata del 16enne.
Stando alla ricostruzione fornita dalla polizia, il minorenne, – imparentato con il boss emergente della zona, Alessandro Giannelli, arrestato di recente – a bordo di uno scooter guidato da un complice, ha affiancato l’Audi A1 di Zito, parcheggiata in via Maiuri, e poi ha esploso diversi colpi contro la vittima, procurandogli ferite mortali.
Le tracce di polvere da sparo rilevate su indumenti e mani del minorenne rappresentano la riva regina della sua responsabilità di colpa nell’omicidio. In un primo momento, proprio i rapporti di parentela del giovane al clan egemone nella zona, avevano spinto gli inquirenti a seguire la pista dell’agguato di camorra. Il sedicenne venne sottoposto dalla Polizia all’esame del guanto di paraffina, che diede esito positivo, la sera stessa dell’omicidio. Poi, durante il prosieguo delle indagini sono stati raccolti altri indizi – frutto di intercettazioni e dell’esame dei tabulati telefonici – che hanno rafforzato l’ipotesi del movente legato a ritorsioni per gelosia. Le fasi dell’agguato che costò la vita a Pasquale Zito sono state riprese da un sistema di videosorveglianza che ha contribuito a fare luce sulla dinamica dell’accaduto. Nel video, piuttosto scuro, si intravede l’arrivo dell’auto a bordo della quale c’era la vittima che si ferma proprio in prossimità della telecamera. Poco dopo giunge anche uno scooter con due persone in sella. Dal mezzo, che si ferma qualche metro più avanti rispetto all’automobile, scende un giovane, secondo gli investigatori il sedicenne, che, a piedi, raggiunge il lato guida della vettura.
È morto così Pasquale Zito, 24 anni, deceduto poco dopo il suo arrivo all’ospedale di Fuorigrotta.
Una vicenda che allarma perché evidenzia quanto e come stia dilagando il fenomeno della criminalità minorile, che si tratti di giovani reclute di un clan o di “cani sciolti” pronti ad impugnare un’arma, la sostanza non cambia.