Prosegue l’intensa proposta di prestigiose mostre d’arte contemporanea al MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Sabato 21 maggio alle ore 19.00, in occasione della manifestazione “Notte dei musei 2016” che vedrà l’apertura straordinaria di diversi siti museali europei fino alle ore 23.00 , sarà inaugurata la mostra personale del fotografo Camillo Ripaldi dal titolo “Questi fotografi non sono io”, a cura di Marco De Gemmis. La mostra rientra nel progetto che il Servizio Educativo del Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha concepito per attivare un dialogo tra il patrimonio di antichità in esso custodito ed i linguaggi della contemporaneità, vede la partecipazione della Fondazione Morra Greco ed ha ricevuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per la Arti Contemporanee ed il patrocinio morale dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa.
In esposizione una selezione di opere inedite appositamente realizzate per questa occasione, nelle sale del Museo Archeologico: fotografie di grande, medio e piccolo formato ed una scultura raccontano i recenti sviluppi della ricerca dell’artista napoletano. Sin dai suoi primi lavori sensibile al tema della costruzione dell’immagine fotografica e della mistificazione della realtà che questa tenta di restituire, Ripaldi indaga l’abbassamento della capacità visiva di cui è vittima l’uomo del ventunesimo secolo, mettendo in mostra, con lucida ironia, la consapevolezza che il suo visus è definitivamente modificato dall’incessante sovraccarico iconico determinato dall’indiscriminato e reiterato utilizzo di schermi proiettanti, dei quali egli usufruisce quotidianamente per gli scopi più disparati.
Nei lavori in mostra l’artista sovrimpone schermi al centro di figurazioni evidenti, chiare e senza fraintendimenti. Il significato è di solito al centro, dove si focalizza l’attenzione da sempre, o almeno da quando artisti, matematici e filosofi, riprogettarono un mondo in cui nella prospettiva e nella profondità di campo, risiedeva il nucleo della pregnanza semantica.
E se, invece, il centro fosse alterato al punto che sia possibile distinguere soltanto i contorni? Se il significato e la chiarezza si nascondessero ai margini, alla periferia del reale? Se questo fosse celato nei confini, da sempre bistrattati, abbandonati, tralasciati?
Così, in questi lavori, l’evidente, il perfettamente a fuoco, è periferico, dove normalmente non si guarda perché l’attenzione insiste a cercare informazioni al centro dell’immagine, dove da secoli queste sono costruite, tramandate e mistificate.
Seguendo la riflessione di Giuseppe di Napoli: “L’etimo ἒidos [eidos] (forma figura), da cui discende il termine idea, ha la stessa radice di ἐιδέiν [eidein] vedere e, per i greci, il perfetto di vedere oìda, significa “io so” (perché ho visto). La visione è la forma di conoscenza principale della nostra cultura: tutta la storia, non solo dell’arte, ma delle scienze, della biologia, della zoologia, della botanica, potrebbe essere riscritta attraverso la storia della visione”.
La conoscenza dunque deriverebbe da quello che ci viene mostrato? La fotografia dunque restituirebbe la realtà? Quale delle possibili realtà esistenti? Instilla il dubbio, dissemina interrogativi l’artista, non fornendo mai una risposta definitiva ed univoca. La sua puntuale e radicale indagine ontologica e metalinguistica, costringe l’osservatore a mettere in discussione l’abitudine visiva e la consuetudine conoscitiva, mediante l’utilizzo di dispositivi che annullano e rendono difficoltosa la visione. Trasgredendo il codice della buona fotografia, che vuole la cura maniacale del dettaglio, la scelta di taglio, composizione, illuminazione, saturazione e attenta messa a fuoco, quali elementi cardini della prassi fotografica, Ripaldi dissemina l’immagine di trappole visive, ostacoli, elementi di disturbo; genera una confusione ottica per costruire e suggerirci traiettorie visive decentrate, possibili sconfinati orizzonti di senso. Un invito a mettere in discussione la consolidata, imperante distrazione visiva e cognitiva, per approdare ad una più profonda e meditata consapevolezza dello sguardo.