Anche dietro le storie delle vittime innocenti della criminalità organizzata, si cela un movente ben preciso, rimasto imbrigliato in un errore “umano”, perché anche i camorristi sono fatti di carne e ossa e non di rado accade che possano andare incontro ad imprecisioni che costano la vita al bersaglio sbagliato. Nel caso dei camorristi, un errore sortisce danni irreversibili, capaci di innescare tragedie che segnano in eterno le sorti di una famiglia, di un contesto, della storia dell’umanità.
Una storia martoriata e violentata dalla costrizione di raccontare e riproporre ciclicamente le stesse dinamiche, le stesse, immutate, scene che, a prescindere da personaggi e interpreti, clima e contesti, narrano di luoghi tenuti in ostaggio dalla furia omicida dei clan che seguitano a riversare orrore, terrore, sangue, spari e morte lungo quelle terre di nessuno, dove un boss piuttosto che l’altro vuole professare la sua egemonia.
Ieri mattina, a Marano di Napoli, nel segno di quel credo criminale è stato versato ancora del sangue innocente.
Un padre e un figlio assassinati da un killer all’interno dell’officina nella quale lavoravano. In pieno giorno, a pochi passi dal mercato ortofrutticolo.
Scene di camorra che sbeffeggiano la quotidianità della vita ordinaria.
Giuseppe Esposito, detto “Peppino il meccanico” e suo figlio Filippo, che si faceva chiamare Fabio, sono finiti al centro di una vendetta trasversale.
Su questo movente, gli inquirenti non sembrano avere dubbi, in virtù degli elementi emersi scavando nella vita privata delle due vittime e ricostruendo il mosaico dei loro legami di parentela.
Padre e figlio non avevano mai avuto legami diretti con la criminalità organizzata, a carico di Filippo risulta un piccolo precedente penale per rapina, ma la sua presenza nel luogo in cui è stato assassinato comprova che aveva imparato da quell’errore e aveva scelto di rigare dritto. Suo padre Giuseppe, invece, era incensurato.
L’obiettivo dei sicari era Filippo e il fatto che il padre sia deceduto in ospedale per le gravi ferite riportate tentando di fare da scudo al figlio, lo ribadisce.
Perché i sicari avevano puntato Filippo?
Il 30enne era il cugino di Antonio Genidoni, pregiudicato ed esponente del clan Musso, uscito dal carcere di recente ed ora ai domiciliari, nonché figliastro di Pietro Esposito, detto ‘Pierino’, ras della Sanità, ucciso in un agguato lo scorso novembre. Dieci mesi prima anche suo figlio Ciro era andato incontro alla stessa sorte.
Per gli inquirenti, gli artefici dell’agguato di ieri erano partiti dal dal Rione Sanità.
L’agguato compiuto nell’officina di Marano, quindi, potrebbe essere la risposta alla strage avvenuta ai danni del clan Vastarella lo scorso 21 aprile nel circolo della Madonna Santissima Dell’arco nel rione Sanità, quando a cadere sotto la pioggia di fuoco esplosa dai killer furono: Giuseppe Vastarella, 42 anni, il cognato Salvatore Vigna, mentre i cugini Dario ed Antonio Vastarella e un altro fiancheggiatore, Alessandro Ciotola furono feriti. Una scia di sangue che sembra destinata ad andare avanti ad oltranza, quella che si estende lungo le strade di una nutrita fetta di città, compresa tra il rione Sanità e la periferia Nord.
Giuseppe e Filippo potrebbero essere solo le ultime vittime della faida in corso che vede contrapposti i gruppi Mallo-Misso-Spina-Esposito e Lo Russo-Vastarella-Licciardi.