Con il trascorrere del tempo, si fanno sempre più spazio i dettagli che emergono dalla brutale vicenda della piccola Fortuna Loffredo, la bambina di sei anni violentata e uccisa nel parco Verde di Caivano.
Raimondo Caputo, 43 anni, accusato di essere l’artefice di quelle barbarie, stamani ha rigettato tutte le accuse nel corso dell’interrogatorio condotto dal Gip Alessandro Buccino Grimaldi. Caputo, che ieri aveva dato segni di cedimento al momento della notifica dell’ordinanza, in carcere, dove era già detenuto per violenza sui figli della sua convivente, oggi – si apprende sempre da fonti giudiziarie – ha ribadito la linea tenuta in questi due anni di indagini, ed è tornato a essere la persona che il gip descrive nell’ordinanza come «caparbio» nell’ostacolare l’attività investigativa. Nell’interrogatorio, che si è svolto nel carcere di Poggioreale e non si è protratto a lungo, Caputo ha respinto tutte le accuse e ha ribadito le posizioni tenute nel corso delle indagini. L’uomo ha detto di non trovarsi nel luogo dove è morta Fortuna, di essere «un buon padre» e di «non aver commesso mai niente». Tra gli elementi raccolti dagli investigatori nell’inchiesta che ha portato ieri all’arresto di Caputo non ci sono tracce di Dna. Lo si apprende da fonti investigative. In un’intercettazione allegata all’ordinanza di custodia cautelare a carico di Caputo, quest’ultimo, mostrandosi preoccupato e riferendosi a Fortuna, dice: «Vuoi vede che là sopra c’è il sudore mio».
Intanto, il nome di altre due inquiline del “palazzo degli orrori” del Parco Verde finisce nel registro degli indagati.
Fra le persone indagate figurerebbe anche la donna che gli investigatori ritengono abbia raccolto la scarpa persa da Fortuna al momento della morte. La donna raccontò agli investigatori che, il giorno della morte di Fortuna, era rimasta seduta tutta la mattina fuori alla porta di casa perché faceva caldo e di non aver visto passare la bimba, né tantomeno Caputo. Qualche giorno dopo però la donna venne intercettata nella sua abitazione mentre parlava con il figlio.
«L’ho buttata io la scarpa, non lo voglio dire a nessun ‘u fatt ra scarpetellà, perché qua sono venute le guardie», diceva, riferendosi al sandalo di Fortuna, perso durante la caduta dall’ottavo piano del palazzo e che – secondo la ricostruzione degli investigatori – lei aveva ritrovato e fatto sparire per non essere coinvolta nelle indagini.
L’omertà dei “grandi” da una parte, la preziosa collaborazione dei “piccoli” dall’altra.
Sono state le sue amichette a raccontare la tragedia di Chicca, consentendo agli investigatori, una volta allontanate dai magistrati dal degrado familiare in cui vivevano, attraverso disegni e racconti, di ricostruire la dinamica che ha portato alla morte della piccola Fortuna.
È così che, secondo la Procura della Repubblica di Napoli Nord, si è giunti a scoprire che a violentare e uccidere Chicca è stato un vicino di casa, Raimondo Caputo, di 43 anni, disoccupato e pluripregiudicato, già in carcere per abusi sessuali ai danni di un’altra bimba di tre anni, figlia della sua compagna. Fortuna venne uccisa perché si era rifiutata di subire l’ennesimo tentativo di violenza sessuale.
Raccapriccianti ma, secondo il gip, «assolutamente illuminanti e inoppugnabili» le informazioni raccolte nel corso di un colloquio con un’amichetta di Chicca, lo scorso mese di marzo, nella casa famiglia dove, insieme alle sorelline, era stata trasferita dopo l’allontanamento dalla mamma (anche lei accusata di violenza sessuale in concorso) e dal convivente di quest’ultima. Eloquente e dirimente, anche secondo una psicologa, è un disegno in cui la bimba raffigura l’orco, a cui dà un nome e un cognome, con delle strisce sul volto, assimilabili a dei serpenti.
Analoga sorte a quella di Fortuna è toccata ad Antonio Giglio, il bimbo di tre anni figlio della compagna dell’uomo arrestato: morto dopo un volo nel vuoto di decine di metri. I due episodi non sarebbero al momento collegati, ma sviluppi, in tal senso, potrebbero giungere già nelle prossime settimane.
Dall’inchiesta emerge in tutto il suo degrado, il contesto sociale del Parco Verde: nel corso delle indagini sulla morte della piccola Fortuna, gli inquirenti hanno accertato che anche altri quattro minori dello stesso stabile erano stati vittime di violenze, tanto che tra le fine del 2014 e l’inizio del 2015 un’altra coppia di inquilini era finita agli arresti per pedofilia; tra questi figurava Salvatore Mucci, colui che per primo soccorse Fortuna dopo il volo di otto piani. E proprio il contesto ambientale ha complicato le indagini, tra depistaggi veri e propri e dichiarazioni inventate per coprire i reali colpevoli.